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Alitalia, il "rilancio" di Lufthansa dimostra quale enorme errore politico sia svendere un asset strategico

Roma -

Le notizie apparsa oggi sulla stampa di un ipotetico rilancio da parte di Lufthansa sull'acquisto della parte “aviation” di Alitalia, confermano le previsioni dell’Unione Sindacale di Base rispetto alla reale situazione della compagnia.

Se da una parte è difficile per noi valutare il “rilancio” da parte del vettore tedesco, dato che non conosciamo l'offerta originale, dall'altra è chiaro che sta emergendo che Alitalia non è messa proprio così male da giustificare spezzatini e qualsiasi altra amenità del genere, come invece qualcuno si era ostinato a far credere.

Proprio per questo motivo, preso atto delle ultime dichiarazioni degli esponenti aziendali sullo stato di Alitalia (“quasi tutto il prestito intoccato, costi in discesa e ricavi in salita, non si brucia più cassa...”), la vendita di un asset strategico e ormai evidentemente risanabile appare sempre più una follia di portata storica.

Lufthansa è una grande compagnia, ma ha bisogno di compagnie satelliti, come fatto nel caso Swissair e Austrian Airlines, che facciano il loro compitino senza disturbare il manovratore. Peccato che il mercato Italiano sia diverse volte più grande e ricco di quello svizzero e austriaco.
Da quello che si legge, l'aeroporto di Fiumicino diventerebbe il QUINTO HUB del Gruppo Lufthansa, mentre il prezioso Handling sarà scorporato e si chiedono “solo” 2000 esuberi probabilmente in tutti quei processi che invece di essere reinternalizzati sarebbero tenuti dalla casa madre. Tutte cose che la dicono lunga sulle vere prospettive che il colosso tedesco offrirebbe a questo settore e ai suoi lavoratori, con la maggiore azienda ridotta di fatto della metà.

Com'è possibile che tuttora manchi l'assunzione di responsabilità politica nel prendere atto che la situazione di Alitalia è mutata e che l'interesse del Paese è quello di smettere di regalare agli altri, da Ryanair alle Major europee, un settore da 164 milioni di passeggeri e quasi 30 miliardi di valore di cui solo il 15% alle aziende nostrane, (dati 2016), fermando una vendita sempre più ingiustificata e che mette a rischio migliaia di posti di lavoro?

Questa è una decisione di carattere politico e industriale che darebbe finalmente l'impulso per una totale virata a 180 gradi dell'Azienda verso la rotta che la porti fuori da 15 anni di disastri, sulla quale c'è il nostro impegno a sostenerla.
Altrimenti, non potremo che rispondere colpo su colpo a eventuali accelerazioni.

Unione Sindacale di Base