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20 maggio, dallo Statuto dei Lavoratori al Decreto Rilancio. La chiamano “Fase 2”, ma è il definitivo smantellamento dei diritti sul lavoro. Rilanciamo i diritti!

Nazionale -

Cinquant’anni fa diventava legge lo Statuto dei Lavoratori, con l’obiettivo di portare elementi di equilibrio tra la categoria dei datori di lavoro e quella dei lavoratori, garantendo a questi ultimi diritti e tutele imprescindibili, non subordinati alla sete di profitto di datori e imprenditori.

Da quel giorno a oggi, i governi e il padronato hanno attaccato in tutti i modi questi diritti, trovando complicità in sindacati come Cgil, Cisl e Uil, che hanno cambiato bandiera ormai da lungo tempo.

Oggi ci troviamo a fare fronte a una crisi economica oltre che sanitaria, e sia Confindustria che Governo dimostrano che la loro strategia è distruggere definitivamente i diritti sociali e dei lavoratori, riducendoci alla mercè del padronato e della logica del ribasso, della deroga, della precarietà.

Il “Decreto Rilancio” è la firma di questo progetto: vengono erogati sostegni economici col contagocce rispetto alla popolazione, estremamente condizionati rispetto ad alcune categorie lavorative e con importi che continuano a essere troppo bassi per una vita dignitosa.

I bonus mensili nella maggior parte dei casi non sono aumentati, rimangono tra i 500 e 600 euro, sempre sotto la soglia di povertà relativa, tranne che per le partite Iva a gestione separata, e i rinnovi della cassa integrazione coprono periodi brevi.

Il “Reddito d’Emergenza” ha cifre bassissime, per un breve periodo di tempo e destinato a una minima parte di chi oggi ne avrebbe bisogno: è l’elemosina di Stato per lavarsi la coscienza, non il sostegno al reddito di base che insieme a tanti volevamo.

Non c’è traccia di abbassamento o blocco di pagamenti come l’affitto e le bollette di casa; è istituito un “aiuto” di soli 140 milioni, pochi se divisi per tutti coloro che lo necessiterebbero.

Dall’altra parte però piovono soldi sulle aziende, sulle imprese, e non solo piccole o medie ma soprattutto su grandi imprese con alti fatturati.

Infatti, oltre al taglio generalizzato dell’Irap, ci sono contributi diretti alle imprese (qui parliamo di miliardi, non milioni) e incentivi fiscali.

E non solo: il Patrimonio Rilancio, fondo da quasi 50 miliardi istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti, ha lo scopo di intervenire solo a sostegno delle aziende con fatturato superiore a 50 milioni. Non certo esercizi a conduzione familiare insomma.

Insomma, la gestione dell’emergenza premia i grandi industriali, gli imprenditori, Confindustria, e lascia sempre più indietro i lavoratori, soprattutto precari, atipici, intermittenti, ma anche gli studenti, i disoccupati…

Quando si dice “il paese riparte dalle imprese” non si tiene conto che quelle imprese non socializzano un centesimo del proprio fatturato per il benessere pubblico: spesso non pagano abbastanza nemmeno i propri dipendenti.

E questo rischia di peggiorare, perché Confindustria, dopo aver ottenuto miliardi di fondi pubblici per le imprese – ma nazionalizzare no, guai mai – ora pretende di rivedere i contratti: pretende più flessibilità, più deroghe, più precarietà.

Non si tiene conto che per molti l’attività lavorativa riprenderà a stento, e i datori non vedono l’ora di abbassare salari e tutele giustificandosi col fatto che “è un periodo difficile per tutti”.

La verità è che c’è chi vuole speculare anche in condizioni di crisi sanitaria globale, e sono gli stessi che per decenni hanno tentato, volta dopo volta, di demolire diritti e tutele dei lavoratori: quei diritti e quelle tutele che invece si cercava di difendere attraverso lo Statuto dei Lavoratori.

Non è un caso se l’“emergenza Covid” la sta pagando in particolare chi lavora nei settori più deregolati e atipici, privi di tutele e spesso di contrattualizzazione e dunque esclusi dagli ammortizzatori tradizionali: ad esempio, se fosse riconosciuta ai riders la condizione di lavoratore dipendente, cosa che di fatto è, oggi avrebbero potuto godere della cassa integrazione invece che essere costretti a continuare a lavorare, per di più esponendosi a rischi nel contatto continuo con la gente.

Per questo vogliamo che la data del 20 maggio non sia una ricorrenza: vogliamo dare voce alla giusta rabbia, all’indignazione di migliaia di persone che si sono trovate abbandonate dal governo.

Dai lavoratori del turismo alle badanti, dagli operatori sportivi ai professionisti dello spettacolo, dai riders ai braccianti, precari, studenti, famiglie a cui non arrivano nemmeno i buoni spesa: non possiamo accettare provvedimenti o decreti che non mettano al centro la garanzia di condizioni di vita dignitose per tutta la popolazione, senza escludere nessuno.

Non possiamo accettare che in nome del “sostegno alle imprese” si giustifichi un massacro dei nostri diritti, il progetto di Bonomi che vuole potere assoluto per gli imprenditori e tutti gli altri, dai lavoratori al Parlamento, al servizio totale dei loro interessi.

 

Scegliamo la data del 20 maggio perché rappresenta un momento storico in cui il movimento organizzato dei lavoratori ha portato risultati e conquiste importanti che non vogliamo perdere, ma gli obiettivi e le rivendicazioni della nostra lotta parlano di adesso e del futuro:

 

- REDDITO DI BASE PER TUTTI, INDIVIDUALE E SENZA CONDIZIONI

 

- BLOCCO TEMPORANEO DI AFFITTI E UTENZE

 

- SALARIO MINIMO A 9€ L’ORA

 

- RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO A PARITA’ DI SALARIO

 

- CONTRATTI E INQUADRAMENTI REGOLARI, RICONOSCIMENTO MANSIONI

 

- INTERNALIZZAZIONE DEI SERVIZI ESSENZIALI E DI PUBBLICA UTILITA’, ASSUNZIONI PUBBLICHE DI PRECARI E DISOCCUPATI

 

- NO A CONTRATTI “A CHIAMATA” CHE NASCONDONO RAPPORTI DI LAVORO FISSO

 

- NO A OBBLIGO DI APRIRE PARTITE IVA PER CHI SVOLGE FUNZIONE DA DIPENDENTE

 

- AMPLIARE L’EDILIZIA PUBBLICA, ABBASSARE GLI AFFITTI PRIVATI

 

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