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San Basilio ce l'ha insegnato: occupare non è reato

Roma è la città della Lotta per la Casa e San Basilio né è il simbolo, soprattutto a causa dei fatti del settembre 1974. 50 anni dopo la società è radicalmente cambiata e la narrazione sul tema abitativo è totalmente distorta. Ma il destino di milioni di famiglie in crisi non è già scritto. Nessuno sfrattato sarà mai solo finché saremo in grado di riconoscere e raccontare la nostra storia attraverso ciò che diciamo e facciamo quotidianamente. Nessuna esitazione: in mancanza di altre alternative abitative, occupare è giusto.

Roma -

A Roma, nella borgata San Basilio, c’è uno splendido murales, a opera dell’artista Blu, che rappresenta lo spirito di quel territorio e della città. Il disegno è enorme e si sviluppa sull’intera faccia di un palazzo di edilizia residenziale pubblica, in via Morrovalle. In esso vi è raffigurato il Santo che dà il nome al quartiere, nell’atto di irrompere tra i lotti con una tronchese dorata in mano e un lucchetto tagliato. Ai suoi piedi le barricate simbolo della resistenza popolare, sulla sua testa dei cherubini tengono a disposizione delle sacre mani altri attrezzi da scasso. Alle spalle del santo vi è la Polizia in tenuta anti sommossa, che il patrono delle occupazioni trasforma in pecore e maiali (la censura è poi intervenuta a cancellare questa parte di disegno), mentre sui tetti e nelle strade del quartiere gli abitanti, intenti a resistere all’assalto poliziesco, accolgono l’ingresso del santo sulla scena, ma non posano le armi, non smettono di resistere.

Se l’artista Blu ha scelto di raffigurare San Basilio in rivolta è perché qui nel 1974 è andata in scena quella che molti ricordano come la Battaglia di San Basilio: un intero quartiere si è ribellato alla violenza della polizia che era intervenuta per sgomberare delle palazzine occupate. Nel corso di quegli scontri, che durarono diversi giorni e che videro migliaia di solidali accorrere da altri luoghi, perse la vita ucciso dalla polizia un giovane comunista di Tivoli, Fabrizio Ceruso, ricordato ogni anno da un grande corteo che sfila per le strade di San Basilio ed onorato quotidianamente nella lotta di ogni attivista impegnato sul fronte del Diritto all’Abitare.

Roma, e con essa altre importanti città, ha una storia ed una tradizione sul fronte della difesa, ma soprattutto della conquista dei Diritti Sociali. Molto di quanto oggi vi è di esistente in tema di spazi e luoghi pubblici è stato strappato alla speculazione o al complice disinteresse politico, proprio da quel conflitto sociale ricco di pratiche che i Governi, uno dopo l’altro fino a quello Meloni, cercano di reprimere con leggi sempre più liberticide e repressive.

Nel mezzo, una società totalmente diversa, antropologicamente mutata da decenni di informazione distorta e da rapporti quotidiani sempre più frammentati, basati sull’asocialità e l’individualismo. Una patetica rincorsa a modelli di possesso irraggiungibili sfocia in frustrazione e rancore verso il prossimo: così è saltato il tacito patto di solidarietà fra persone appartenenti alla stessa classe; così chi detiene il potere e controlla l’opinione pubblica manipola la situazione a proprio piacimento.

È uno spettacolo cui purtroppo assistiamo quotidianamente, sui giornali, sulle televisioni e in moltissime manifestazioni “culturali” entertainment (libri, riviste, film). L’attacco a chi vive con drammatica difficoltà la questione abitativa ricade ampliamente sotto questa lettura e non importa se si tratta di soggetti sotto sfratto o proprietari di un unico immobile esecutati dalle banche perché hanno saltato qualche rata del mutuo. Il meccanismo creato mette tutti sullo stesso piano ed incita alla loro messa alla berlina. Il fatto stesso che per attaccare un avversario politico si usi l’occupazione di un alloggio popolare avvenuta 20 anni fa, dimostra come sull’argomento ci sia stato un lungo intervento di preparazione ideologica. D’altronde avevamo già assistito alla trasformazione di una famiglia sotto sfratto per morosità incolpevole in una banda di “Ladri di Case” da stanare a telecamere spianate. La mistificazione di presentare una questione sociale come una questione di ordine pubblico si è così compiuta.

Ma non è irreversibile. La presa di coscienza della nostra storia e della nostra identità può darci diversi strumenti per capovolgere la narrazione dominante di questi anni. Non è per difendere la neo-euro deputata Ilaria Salis che scriviamo queste righe, ma se il Consiglio della Regione Lombardia approva addirittura una mozione per una normale questione debitoria fra un ente e un cittadino, cosa dovrebbe fare la Corte dei Conti nei confronti dell’Azienda Regionale Lombarda, che assieme all’Amministrazione Comunale di Milano ha lasciato che oltre 20 mila alloggi pubblici destinati ai più bisognosi deperissero in stato di abbandono?  A quanto ammonta quel danno e chi lo paga?  È perché a farci la morale sui debiti devono essere quei partiti non solo campioni europei di condono, ma a loro volta super indebitati con il Fisco e con trattamenti di favore mai concessi a comuni cittadini, come la Lega e i famosi 49 milioni rateizzati in oltre 70 anni senza interessi?

D’altro canto, la parte più dolorosa di questa riflessione è proprio sullo stato di salute mentale dei soggetti a rischio sfratto o in piena emergenza abitativa, che in una sorta di sindrome di Stoccolma si affidano con tutto loro stessi alle mani di chi li odia. I 48.000 sgomberi messi a programma dal cosiddetto Governo Giallo-Verde sono un esempio di elettori che si randellano da soli i testicoli. Adesso quel numero rispunta, sull’onda della polemica per la candidatura di Ilaria Salis e le minuziose indagini su lei condotte dai garantisti della disinformazione. Pezzi grossi da poche migliaia di copie su tutto il territorio nazionale, pur di attaccare la “sinistra”, reputano accettabile buttare per strada quasi 50.000 famiglie che occupano un alloggio senza averne un titolo. Sulle condizioni che hanno determinato quelle occupazioni però non una parola. Nessuno attacca lo status quo della Legge 431/1998. Meglio fare il Premierato, affossare il Sud con l’autonomia e ripararsi da qualsiasi critica di piazza attraverso un nuovo Decreto Sicurezza. In piena continuità coi governi precedenti, sia chiaro, colpevoli anch'essi di aver sempre affrontato la questione abitativa in termini securitari e repressivi.

Ritorniamo infine al murale di Blu, il santo non sfonda le barricate. In realtà schiaccia una camionetta della polizia. Non schiaccia i poliziotti, quelli li trasforma, schiaccia uno strumento di repressione. Ed oggi, gli strumenti a disposizione di chi vuole silenziare qualsiasi opposizione al suo operato, sono molteplici. Non aspettiamo che il santo ci indichi la strada anche stavolta.