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CCNL Metalmeccanici, noi vogliamo aumenti veri!

Nazionale -

Durante la trattativa per il rinnovo del CCNL Metalmeccanico, Federmeccanica ha proposto un aumento di 65 euro lordi, riparametrati al 5° Livello e da erogare con comodo, in 3 anni. Una vera e propria “elemosina”, ma che vede dall’altra parte i metalmeccanici di Cgil Cisl e Uil, pronti a discuterla, condividendo l’ennesimo contratto “vuoto” in cui il recupero salariale sarà sostituito dal rafforzamento del Welfare contrattuale e dai “Flexible Benefits”.

Da trent’anni ci sentiamo ripetere che la scarsa crescita dell’economia italiana è dovuta alla “bassa produttività” e il padronato italiano ci racconta la favola che il recupero di quest’ultima può avvenire solo comprimendo i salari.

Oggi questo è divenuto il malaugurato principio alla base del “Patto per la Fabbrica”, firmato nel 2018 da Confindustria assieme a Cgil Cisl e Uil ovvero il mercato viene prima di tutto: è il mercato che determina i prezzi dei beni, il valore dei salari, delle materie prime, il valore degli investimenti nella tecnologia e nella salute e sicurezza. Questa in buona sostanza è la ricetta draconiana per la competitività del nostro sistema industriale.

Eurostat riporta che anche nel 2019 il costo orario del lavoro medio su scala europea vede la Danimarca a 44.7 euro, Belgio 40.5 euro, Francia 36.6 euro, Germania 35.6 e… Italia ferma a un misero 28,8 euro.

La compressione dei salari va a vantaggio esclusivo della quota del capitale e non ritorna ai lavoratori in nessun modo. Le imprese lo intascano senza rimettere nulla in circolo: né sui salari e molto spesso neanche sugli investimenti. Sono i dati OCSE a certificare che la forbice tra la dinamica della produttività ed i salari si è talmente allargata che oggi i lavoratori italiani ricevono in media meno di quanto contribuiscono a creare.

Come se questo non bastasse le associazioni padronali, hanno chiesto nuovamente il taglio delle tasse, troppo alte quelle sul costo del lavoro. L’ultimo rapporto OCSE sulle imposte sul lavoro parla chiaro e ci vede posizionati al 47,7%, in linea o addirittura più in basso degli altri paesi europei dove però i salari sono decisamente più alti dei nostri. Nonostante l’aumento del lavoro nero, precario e le defiscalizzazioni dei contratti, il grosso del gettito fiscale continua ad essere prodotto da salari dei lavoratori e pensioni, ma non viene redistribuito e non ritorna ai lavoratori nemmeno sotto forma di salario indiretto, ossia servizi pubblici (ad esempio scuola, sanità) e previdenza (pensioni).

COSA CHIEDEVA LA PIATTAFORMA PRESENTATA DA USB?

Nella sua piattaforma, USB aveva richiesto un aumento dei minimi contrattuali di 180 euro, non riparametrati e non assorbibili da aumenti aziendali, prevedendo un aumento di tutte le indennità del 5%.

C’è assolutamente bisogno di mettere i soldi veri nelle tasche dei lavoratori, evitando che questi invece finiscano su un sistema di welfare privato ad appannaggio di pochi eletti… alla faccia del sistema universalistico del Contratto Nazionale.

10/12/2020                           

USB Lavoro Privato – Coordinamento nazionale Industria