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Commercio, con il Covid aumentati del 67% i lavoratori morti. USB: la vera negazionista è la Grande distribuzione

Nazionale -

Le aperture forzate e le insufficienti misure di sicurezza durante tutto il periodo della pandemia hanno reso il Commercio uno dei settori più a rischio. L’Inail ha pubblicato i dati semestrali su infortuni e malattie professionali, registrando un calo generale degli infortuni pari al 21%. Le chiusure generalizzate e l’incentivazione dello smart working hanno visto meno lavoratori attivi, il che giustifica il minor numero di denunce anche riguardo le malattie professionali.

Non tutti i settori però si sono fermati oppure hanno ridotto l’attività. Il Commercio, per esempio, non ha conosciuto pause perché definito essenziale, una scatoletta di tonno paragonata a medici e infermieri. La Grande distribuzione ha sfruttato il lockdown nella prima fase e le aperture a singhiozzo nella seconda. Se infatti non c’è la possibilità di passeggiare, i centri commerciali si vestono a festa per attirare persone. Allo stesso modo, con bar, ristoranti e centri culturali chiusi, sono aumentati gli acquisti di generi alimentari, di conforto e intrattenimento.

Le aziende del settore, dai grandi marchi ai discount, hanno guadagnato con la pandemia, non solo perché una delle poche attività sempre in funzione, ma anche con il gioco dell’aumento dei prezzi, e il carrello della spesa ha pesato molto di più per i portafogli dei clienti. In base alle indagini della Coldiretti, i beni di prima necessità hanno subito infatti un rialzo medio dell’1,5%, con verdura e frutta alle stelle, aumentate rispettivamente del 10 e del 5%. Ma mentre la Grande distribuzione ha aumentato i propri incassi, in media del 3% da inizio pandemia, migliaia di lavoratori si sono ammalati, fra carichi di lavoro aumentati, turni impossibili e l’esposizione al contagio da Coronavirus.

Durante il lockdown abbiamo assistito, nella maggior parte dei casi, al rispetto del contingentamento nei locali, ma al personale non venivano consegnati i dispositivi di protezione. Le mascherine, oltretutto soltanto chirurgiche (protezione per chi le indossa del 20%), sono state consegnate in netto ritardo e in quantità minime. Una mascherina monouso doveva bastare anche per una settimana.

Nella seconda fase invece assistiamo alla situazione inversa: mascherine in abbondanza (sempre quelle chirurgiche, quasi mai le Ffp2 con protezione al 92%), ma non viene effettuato alcun controllo in ingresso e all’interno dei negozi. I clienti entrano in sovrannumero, si trattengono troppo all’interno, spesso con le mascherine abbassate. Il distanziamento minimo previsto non esiste né fra le corsie, con i commessi costretti a scaricare e sistemare la merce con il negozio pieno, né in cassa. Quando la folla è straripante, vengono aperte tutte le casse senza alcun rispetto dell’alternanza, e i cassieri lavorano a contatto sia con il cliente della loro postazione che con quelli della cassa alle loro spalle.

Una situazione di rischio ingigantita dalle mancate sanificazioni. Le aziende, pur di risparmiare, non effettuano a fondo l’igienizzazione prevista, esponendo dipendenti e clienti al possibile contagio. In alcuni casi, sono gli stessi lavoratori a dover pulire bagni e aree di ristoro, mentre sta alla buona volontà dei clienti occuparsi dei carrelli. È in questo modo che i centri commerciali sono stati trasformati in focolai del Coronavirus, come dimostrano i dati in preoccupante crescita sugli infortuni mortali.

Da gennaio a ottobre 2020 sono stati 62 i lavoratori del Commercio morti, rispetto ai 37 dello scorso anno, con un aumento del 67%. Sono stati uccisi dal Covid, ma le loro morti sono legate a filo doppio alle scelte della Grande distribuzione che continua a fare profitti attentando alla vita dei lavoratori, disinvestendo ossessivamente da salute e sicurezza al punto che il settore è considerato fra i dieci più a rischio.

Sono loro i veri negazionisti, mentre le vittime sacrificali sono i lavoratori che da sempre permettono alle catene commerciali di accumulare guadagni, sottoposti a carichi insopportabili e turni spezzati che li costringono sul posto di lavoro per l’intera giornata a fronte della 4 ore contrattuali.

È tempo che gli smisurati profitti della Grande distribuzione siano redistribuiti in termini di investimenti in salute e sicurezza, diminuzione dell’orario e maggiori tutele per chi svolge un lavoro ritenuto ufficialmente essenziale e indispensabile.

USB Commercio

16-12-2020