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Crescono i profitti di banche e industria, ma Bonomi e Visco vogliono bloccare i salari

Nazionale -

Con la solita faccia di bronzo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ci ha regalato una delle sue perle: “Il problema degli stipendi bassi non riguarda l’industria”.

Il problema dei bassi salari invece parte proprio dall’industria! Gli stipendi sono bloccati da 30 anni con una perdita di migliaia di euro per ogni singolo lavoratore.  Un crollo del 6.9% secondo una stima OCSE, che data a prima della pandemia. 

La seconda omissione del signor Bonomi è la deregulation contrattuale utilizzata a piene mani dagli industriali. Appalti, contratti part time, staff leasing, etc. inquadrano una quota crescente di lavoratori, con una dinamica che trascina verso il basso l’intera classe lavoratrice. 

Sono però i contratti nazionali e di secondo livello ad aver perso di efficacia, a non recuperare l’inflazione reale a non portare aumenti reali.

Risultato i lavoratori in Italia sgobbano come non mai, ma i loro salari sono i più bassi d’Europa, mentre l’inflazione corre sopra il 10%. Tuttavia, se i salari operai sono fermi, salgono invece i profitti degli industriali e delle banche.

L’industria, infatti, secondo uno studio Prometeia- Intesa Sanpaolo negli ultimi 11 mesi è cresciuta, con valori della produzione oltre i 1200 miliardi di cui oltre 600 nell’export.

Nel 2022 anche le banche italiane hanno raccolto utili per 14,2 miliardi, con una crescita del 39% rispetto all'anno precedente. Queste banche che nel 2020 hanno ricevuto oltre 36 di miliardi di fondi pubblici, giovato di tassi favorevoli oggi mettono il coltello alla gola dei consumatori aumentando mutui e tasso dei prestiti.

Per questo se la dichiarazione di Bonomi è un insulto, fa ancora di più rabbia il governatore di Bankitalia Ignazio Visco che afferma: “No ad aumenti salariali per compensare l’inflazione” … “per far salire gli stipendi, in Italia al palo da 30 anni, è necessario aumentare la produttività”.

I 30 anni di cui parla Visco sono gli anni della privatizzazione del tessuto produttivo, che finito in mano privata ha continuato a godere di finanziamenti pubblici, riduzione delle tasse e fondi per gli investimenti industriali. Niente di tutto questo ha portato all’aumento della produttività.

Oggi siamo di fronte ad un paese reso più povero, incapace di pensare e progettare una politica che guardi agli interessi generali e per questo alla mercè della speculazione interna e internazionale.

Al recente Consiglio Europeo i governi di Francia e Germania hanno imposto gli aiuti di Stato per i propri sistemi industriali, respinto la proposta, ieri di Draghi oggi del governo Meloni, di un piano per l’industria europea e si attrezzano ad una competizione senza esclusione di colpi.

Gli operai producono la ricchezza ma hanno condizioni e paghe sempre peggiori.

  • È tempo di cambiare il sistema contrattuale, di aumenti del 12% e del riconoscimento dell’inflazione reale ogni bimestre. 
  • Contro la speculazione ripensare il modello industriale, nazionalizzare per difendere occupazione e salario.

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