Dalla corte costituzionale: le leggi regionali su salario minimo sono legittime
In questi giorni è arrivata la sentenza della corte costituzionale in merito alla legge 30/2024 della regione Puglia che istituiva un salario minimo di nove euro da applicare ai minimi salariali dei CNNL indicati nei bandi di gara degli appalti della regione e delle aziende partecipate. La sentenza numero 118 depositata nella giornata di martedì 16 ha rigettato il ricorso presentato dal governo, che sosteneva che la disposizione regionale ledesse l’autonomia della contrattazione collettiva nella fissazione delle retribuzioni e minasse la competenza esclusiva dello stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
I giudici, senza entrare nel merito legale della decisione, hanno rifiutato il ricorso sostenendo che la disposizione regionale, essendo applicata solo all’ambito degli appalti e degli enti strumentali, non lede nessun principio costituzionale ed è da ritenersi legittima.
La legge della regione Puglia (che lasciamo in pdf sotto l’articolo) e il giudizio di legittimità della corte costituzionale permettono di evidenziare il ruolo che possono ricoprire gli enti locali e ne conferma la responsabilità rispetto i minimi salariali applicati negli appalti e negli enti strumentali.
La legge impone di indicare nei bandi di gara CCNL che garantiscano un minimo salariale di 9 euro (ricordiamo lordi) e che siano quelli maggiormente attinenti all’attività svolta; di fatto queste disposizioni fino ad adesso erano già possibili, ma finalmente vengono disciplinate per tutti gli appalti da una legge regionale quando fino ad oggi è stata solo la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici a imporre un cambio di passo alle amministrazioni, sciopero dopo sciopero e appalto per appalto.
La legge pugliese entra anche nel merito dell’equiparabilità dei contratti; se è vero che la norma impone di indicare un CCNL con minimi a nove euro, sappiamo bene che gli enti locali non hanno il potere di obbligare chi si presenta alla gara ad applicare proprio quel contratto. Questa contraddizione è quella che consente al contratto multiservizi di dilagare, perché ritenuto rappresentativo sia in termini di firme che in termini di applicazione territoriale, divenendo così equiparabile ad altri CCNL. In questo senso stabilire che il CCNL debba fare riferimento all’attività maggiormente svolta è utile e pone al riparo da fraintendimenti.
Inoltre la legge fa riferimento esplicito ai criteri di equiparabilità dei contratti facendo riferimento ai 12 parametri indicati dall’autorità nazionale anticorruzione.
Arrivati a questo punto, cosa cambia per i lavoratori e le lavoratrici?
Sicuramente il giudizio di legittimità della corte costituzionale consente di avviare sul tema del salario minimo delle interlocuzioni con gli enti locali, in diverse regioni già in essere, per ribadire la responsabilità politica che le amministrazioni hanno nel contrasto al lavoro povero.
Allo stesso tempo serve un tempo per capire come e se effettivamente, nei bandi pubblicati dalla regione Puglia, ci sarà il rispetto della legge o se, come temiamo, sarà solo la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici a sorvegliare e imporre il rispetto di questi minimi salariali che comunque rimangono da fame. In questi mesi abbiamo assistito a molti proclami sui salari minimi, come ad esempio nel comune di Genova, ma al momento si tratta solo di propaganda e proclami che non trovano riscontro nella realtà.
Nove euro lordi oggi sono una cifra inconsistente e insufficiente a fronte di un costo della vita che lievita e di un salario indiretto che viene eroso dalle politiche di riarmo. Ribadiamo la piattaforma su cui USB ha convocato l’ultimo sciopero generale e il fatto che una vera dignità oggi deve partire da 2000 euro di salario per tutti e tutte, senza è sopravvivenza.