Decreto lavoro e dimissioni in bianco: una norma anti-dignità. SLANG USB: precari e precarie verso lo sciopero generale del 13 dicembre
In Italia la percentuale di lavoratori dipendenti in povertà assoluta si attesta al 8,2%, mentre i lavoratori dipendenti a rischio povertà sono l’11.5%; l’incidenza della povertà assoluta individuale degli occupati è aumentata di 2,7 punti percentuali dal 2014 al 2023, un dato che fotografa in modo chiaro le conseguenze della scelta politica di tenere bassi i salari e limitare fortemente misure di sostegno al reddito come l’RDC. (Fonte Rapporto ISTAT 2024)
In questo quadro di povertà il governo tramite un disegno di legge a firma della ministra Calderone, approvato alla camera e in discussione al senato, sta tentando di apportare modifiche importanti al diritto del lavoro per schiacciare ancora più in basso la classe lavoratrice e fornire più strumenti repressivi nelle mani dei datori di lavoro.
La parte più dibattuta di questa legge è l’articolo 19 con cui sostanzialmente viene stabilito che la lavoratrice o il lavoratore assenti ingiustificati per un periodo previsto da CCNL o uguale a 15 gg siano considerati dimissionari in automatico con perdita del diritto di accesso alla disoccupazione (NASPI). Questo dettaglio della norma, come ci è stato spiegato dall’avvocato Bartolo Mancuso, reintroduce le così dette “dimissioni in bianco” che erano state sostanzialmente messe fuori gioco tramite l’obbligo di presentazione di dimissioni telematiche tramite patronato con l’obiettivo di accertare la volontà del dipendente e interrompere le pratiche illegali di molti datori.
In anni di esperienza sono innumerevoli le casistiche per cui i lavoratori e le lavoratrici potrebbero ritrovarsi contro la loro volontà a perdere il diritto di accesso alla NASPI con questa modalità: pensiamo in primis ai lavoratori migranti che vengono verbalmente allontanati dal posto di lavoro senza giustificazione né alcuna comunicazione scritta approfittandosi delle difficoltà linguistiche, ma anche ai lavoratori italiani che sempre più spesso non conoscono i propri diritti e seguendo indicazioni verbali dei datori di lavoro, magari in periodo di cambio appalto, potrebbero trovarsi improvvisamente assenti ingiustificati. Una norma pronta ad attaccare anche e soprattutto chi alza la testa e si ribella a condizioni di lavoro senza sicurezza o dignità, ma giustificata dal fatto che secondo il governo l’Italia avrebbe un problema di “Furbetti della NASPI” cioè di persone che restano a casa per farsi licenziare e poter accedere all’indennità di disoccupazione.
Facciamo nostro il rilancio dell’avvocato Mancuso nel dire che per cominciare in un paese dignitoso dovrebbe essere prevista indennità di disoccupazione per tutti, a prescindere dalla perdita di lavoro involontaria, con l’obiettivo di garantire un argine allo sfruttamento e un’asticella di dignità; nel corso della campagna cercasi schiavo abbiamo spesso rimarcato la centralità e la necessità di un ampiamento quantitativo e qualitativo degli ammortizzatori sociali.
Furbetti del cartellino, furbetti del reddito di cittadinanza, furbetti della NASPI uniamoci!
Scherzi a parte, nel tempo ci siamo abituati a questo lessico che nella sua mediaticità palesa l’odio per la classe lavoratrice che il governo Meloni e quelli precedenti portano avanti senza chiedersi perché mai un lavoratore dovrebbe desiderare di lasciare il posto di lavoro. Se oggi migliaia di lavoratori e lavoratrici si dimettono, come ha spiegato Francesca Coin in Le grandi dimissioni non è perché sono furbetti ma perché si lavora male, male e ancora male. Si lascia il posto di lavoro perché si è precari, demansionati e sottopagate, perché le condizioni reali non corrispondono mai a quelle da contratto, perché i salari non aumentano e il costo della vita sale, perché i ricatti e gli abusi psicologici e fisici sono la quotidianità, perché la violenza di genere e il razzismo che caratterizza la nostra società permeano i luoghi dove lavoriamo, perché non riusciamo a garantirci una vita dignitosa.
È per queste ragioni e per rispondere all’attacco quotidiano che il governo Meloni porta avanti nei confronti della classe lavoratrice che saremo anche noi come precari e precarie, atipici e disoccupate allo sciopero generale del 13 dicembre nelle piazze di Roma e Milano, per ribadire il nostro NO al decreto lavoro, alla repressione del ddl 1660, alla legge finanziaria che sentenzia un sistema più diseguale e imprime un’accelerazione verso l’economia di guerra.