Il 29 marzo in piazza a Roma per il salario e contro il riarmo
Mentre l’insieme dei rinnovi contrattuali conclusi negli ultimi mesi e quelli in dirittura d’arrivo attesta nuove perdite rilevanti del potere d’acquisto dei salari per milioni di lavoratori e lavoratrici sia pubblici che privati, il governo si appresta a far fronte alla tempesta che sta investendo le relazioni internazionali con un ulteriore aumento delle risorse destinate alla difesa e all’industria bellica. Una scelta folle che invece di far fronte alle difficoltà crescenti che stiamo vivendo ci infila dentro una prospettiva da incubo: la guerra come unica soluzione alle difficoltà economiche.
I contratti nel settore pubblico recuperano meno di un terzo della perdita subita a causa dell’inflazione e il nuovo tavolo convocato dal ministro per la funzione pubblica Zangrillo conferma l’assenza di risorse messe a disposizione dal Governo. Il tavolo convocato al Ministero per le Infrastrutture per concludere il contratto dei ferrotranvieri viene rimandato da un mese, perché neanche le briciole promesse sono nella disponibilità del ministro Salvini. Il contratto della logistica si è concluso al ribasso e le organizzazioni sindacali si sottraggono alla consultazione tra i lavoratori, che lì dove si realizza boccia in modo perentorio l’intesa raggiunta tra aziende e sindacati complici. In quello dei portuali la consultazione è stata invece millantata da Cgil, Cisl e Uil, che dove hanno sottoposto l’accordo a referendum se lo sono visto bocciare a larga maggioranza e dove non hanno promosso neanche un’assemblea hanno raccontato di aver avuto il “via libera” da parte dei lavoratori. Nelle ferrovie, dopo un anno di scioperi con adesioni massicce, le federazioni dei trasporti di Cgil, Cisl e Uil si rifiutano di dare ascolto ai lavoratori e sono pronti a firmare l’ennesimo contratto bidone, mentre assistiamo alla beffa di scioperi con adesioni che sfiorano il 100% e la reazione del governo che, tramite la Commissione di Garanzia, introduce nuove limitazioni al diritto di sciopero. E poi c’è il contratto metalmeccanici dove Federmeccanica ribadisce che non è possibile prevedere nessun adeguamento salariale, cioè nessun aumento garantito, a dimostrazione ulteriore che per le imprese il costo della transizione ecologica e digitale deve essere scaricato tutto sulle lavoratrici e sui lavoratori.
Per il mondo del lavoro sottopagato la situazione è ancora più drammatica, perché ai rinnovi contrattuali lontani anche solo dal recupero dell’inflazione si accompagnano precarietà, part time obbligatori, lavoro grigio, in appalto e intermittente, mentre gli istituti di ricerca attestano una crescita allarmante dei lavoratori poveri. Lavorare, purtroppo ormai da diverso tempo, non è più una condizione sufficiente per coprire le spese indispensabili. Ancor più per chi è migrante, sottoposto al ricatto del permesso di soggiorno e alla riproposizione del meccanismo fallimentare dei flussi, che continua a produrre irregolarità e sfruttamento. Invece della demagogica politica del respingimento e della deportazione in Albania, la regolarizzazione dei lavoratori stranieri darebbe una spinta verso l’alto a salari e diritti per tutti.
Questa condizione di sofferenza salariale non è il frutto della bassa produttività del lavoro. Al contrario, il nostro modello salariale e il sistema di accordi sindacali che tiene bloccati i salari sono la causa principale del perché i salari sono bassi e questo incide in modo determinante anche sul grado di produttività del lavoro.
I salari bassi hanno un effetto depressivo su tutta l’economia ed hanno un effetto ancora più pesante sulla condizione di chi lavora in presenza della crisi del nostro sistema sanitario, il diffondersi dell’emergenza abitativa e l’aumento del costo delle tariffe sui servizi essenziali. C’è una condizione complessiva di vita che si sta abbassando e che in molti settori sta letteralmente precipitando.
È inaccettabile che in questa situazione sempre più drammatica il governo vanti come un successo lo svincolo della spesa militare dal calcolo del deficit pubblico, per poter avere mano libera ad un suo ulteriore insensato aumento. Sono ben altre le misure di cui abbiamo bisogno:
- Ripristino di un meccanismo di adeguamento dei salari al costo della vita (anche tenendo conto dei prevedibili nuovi aumenti dovuti alle tensioni internazionali in arrivo, dai dazi alle pressioni sui prezzi dell’energia)
- Superamento del sistema degli accordi interconfederali che tiene bloccata la dinamica salariale
- I salari devono crescere aumentando i salari e non attraverso meccanismi fraudolenti come il taglio del cuneo fiscale, il welfare aziendale o il sistema dei bonus che deprimono la spesa pubblica e i servizi universali e che non modificano la paga base.
- Gli accordi devono essere sottoposti alla approvazione dei lavoratori – il diritto di sciopero va ripristinato – la contrattazione sindacale non può essere riservata ai soli sindacati compiacenti
- Svincolo della spesa sociale, a cominciare da quella della sanità, dal Patto di Stabilità con la UE, invece della spesa per la difesa – No all’aumento della spesa militare
- Controllo dei prezzi e degli affitti
- Regolarizzazione dei lavoratori migranti
ALZATE I SALARI – ABBASSATE LE ARMI
IL RIARMO NON È LA SOLUZIONE - LA SPESA SOCIALE SI