Il diritto all’abitare in Italia: una sfida sociale e politica. Il documento presentato da USB al Cnel
- Introduzione
Il diritto all’abitare rappresenta un elemento imprescindibile per il benessere individuale, la coesione sociale e l’inclusione delle fasce più fragili della popolazione. In Italia, questo diritto è oggi sempre più compromesso da una serie di dinamiche economiche, strutturali e normative che, nel tempo, hanno prodotto una situazione di disagio abitativo diffuso.
In questo contesto, il presente contributo intende offrire un quadro approfondito della questione abitativa, mettendo in evidenza dati, tendenze e riflessioni provenienti dai principali istituti di ricerca e da fonti istituzionali, con l’obiettivo di contribuire all’analisi generale che il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro realizza attraverso la Relazione sui servizi pubblici.
- Il disagio abitativo secondo i dati ISTAT[1]
Secondo i dati forniti dall'ISTAT nel 2025, la qualità dell’abitare incide in modo diretto e significativo sul benessere, non solo individuale ma anche familiare. Tra gli indicatori principali del disagio abitativo si segnalano il sovraffollamento, la presenza di gravi problemi strutturali nelle abitazioni (quali umidità, scarsa illuminazione, danni edilizi) e la carenza di servizi essenziali.
Nel 2024, il 5,6% della popolazione italiana – corrispondente a oltre 3 milioni di persone – viveva in condizioni di grave deprivazione abitativa. La situazione è risultata particolarmente allarmante tra i nuclei familiari guidati da persone con meno di 35 anni: in questi casi, la percentuale è salita al 12,1%, rispetto al 7,6% registrato nel 2019. Al contrario, tra le famiglie in cui il principale percettore di reddito ha un’età superiore ai 65 anni, il disagio abitativo si è mantenuto al di sotto della media nazionale.
Un altro elemento rilevante riguarda il peso economico rappresentato dai costi per l’alloggio. Sempre nel 2024, circa il 5,1% della popolazione – più di 3 milioni di individui – viveva in condizioni di sovraccarico dei costi abitativi, ovvero spendendo oltre il 40% del proprio reddito netto per il mantenimento dell’abitazione. Sebbene in calo rispetto all’8,7% del 2019, il dato resta fortemente preoccupante. Le criticità maggiori si osservano tra le persone sole, in particolare quelle con meno di 65 anni, dove la percentuale raggiunge il 19,9%. Anche i nuclei monogenitoriali risultano significativamente colpiti (7,1%), sebbene si registri una diminuzione rispetto al 2019 (meno 4,8 punti percentuali).
In generale, il sovraccarico abitativo è più diffuso tra i giovani: le famiglie in cui il percettore principale di reddito ha meno di 35 anni registrano un’incidenza del 7,6%, mentre tra gli over 65 la quota scende al 4,6%. Questi dati confermano l’esistenza di una correlazione tra disagio abitativo e precarietà economica. Attualmente (anno 2023), circa un decimo della popolazione italiana, pari a quasi 6 milioni di persone, si trova in condizioni di povertà assoluta[2]. Il lavoro intermittente, i salari bassi e la diffusione di contratti atipici rappresentano, infatti, fattori che compromettono gravemente la possibilità di condurre una vita dignitosa, alimentando una spirale di impoverimento che investe soprattutto giovani e famiglie con figli.
- Il Rapporto Caritas 2024: una fotografia della crisi[3]
Il Rapporto Caritas 2024 conferma e approfondisce le dinamiche descritte, evidenziando come il disagio abitativo continui a permanere su livelli elevati, in assenza di un piano nazionale di rilancio delle politiche abitative. Il documento segnala che in Italia un milione e mezzo di famiglie vive in abitazioni sovraffollate, scarsamente illuminate e prive di servizi essenziali, come l’acqua corrente. Inoltre, il 5% dei nuclei familiari manifesta difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo, del canone di locazione o delle utenze domestiche. La maggior parte di questi nuclei non dispone di una casa di proprietà, esponendosi così a un rischio abitativo ancora maggiore.
Il problema è aggravato dalle condizioni vetuste del patrimonio edilizio italiano: l’83% degli edifici residenziali risale a prima del 1990, mentre il 57% è stato costruito prima degli anni ’70. Oltre il 60% degli immobili è classificato in classe energetica F o G, ovvero le due categorie più basse in termini di efficienza energetica. La riqualificazione di questo patrimonio risulta quindi urgente non solo per ragioni ambientali, ma anche per la qualità della vita degli abitanti. Secondo stime attuali, saranno necessari tra gli 800 e i 1.000 miliardi di euro per adeguarsi alla direttiva Europea 2024/1275 c.d. «Case Green»[4].
- Il Rapporto Caritas 2025 e la classificazione europea ETHOS[5]
Nel Rapporto Caritas 2025 viene ribadito che la questione abitativa coinvolge un numero crescente di famiglie, le quali si trovano in difficoltà sia nel reperire un alloggio dignitoso, sia nel mantenerlo. Le cause della crisi abitativa sono molteplici e interconnesse: tra queste si evidenziano l’aumento dei canoni di locazione, la cronica carenza di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), la diffusione degli affitti brevi a fini turistici – particolarmente impattanti nei grandi centri urbani – e la stagnazione salariale in un contesto occupazionale sempre più frammentato e precario.
Le categorie sociali più colpite dal disagio abitativo si presentano estremamente eterogenee. Si va dai giovani adulti che faticano a emanciparsi dalla famiglia di origine, alle famiglie monoreddito, passando per cittadini stranieri, nuclei in situazione di vulnerabilità economica, persone con disabilità o con fragilità socio-sanitarie. Ciò che accomuna questi gruppi è l’impossibilità di accedere al mercato abitativo tradizionale, caratterizzato da dinamiche sempre meno inclusive.
Un importante riferimento teorico ripreso dal Rapporto Caritas 2025 è la classificazione ETHOS[6], elaborata dalla Federazione Europea delle Organizzazioni Nazionali che lavorano con i senzatetto (FEANTSA). Tale modello propone una tipologia articolata delle forme di esclusione abitativa, evidenziando come il diritto alla casa debba essere interpretato secondo una triplice dimensione: fisica, sociale e giuridica. L’assenza di uno di questi elementi comporta, secondo ETHOS, una condizione di disagio abitativo rilevante.
La classificazione consente di distinguere tra quattro macro-categorie di grave esclusione abitativa, che vanno dalla mancanza totale di un tetto alla condizione di insicurezza e inadeguatezza abitativa. L’adozione di tale paradigma rappresenta oggi il principale punto di riferimento a livello europeo per l’analisi della questione abitativa in termini di diritti fondamentali e inclusione sociale.
- Il ruolo della Corte dei Conti: valutazioni critiche sulle politiche abitative[7]
Un importante contributo istituzionale al tema è rappresentato dalla Delibera n. 59 della Corte dei Conti, approvata il 5 dicembre 2024. La relazione, che analizza lo stato di attuazione del PNRR con dati aggiornati al 31 ottobre 2024, dedica un’intera sezione – oltre 40 pagine – al disagio abitativo e alle politiche di edilizia pubblica.
Nel documento si evidenzia come, negli ultimi decenni, in Italia si sia assistito a un progressivo arretramento delle politiche abitative. Si registra un disinvestimento sostanziale nell’edilizia sociale, accompagnato da una distribuzione disomogenea delle risorse a favore delle famiglie a basso reddito. Il Rapporto Caritas viene citato per confermare non solo la scarsità dei fondi pubblici destinati alla casa, ma anche la frammentarietà della normativa in materia.
Pur riconoscendo che il PNRR e il Piano Nazionale Complementare abbiano introdotto alcune misure significative, la Corte osserva che queste si sono concentrate prevalentemente sulla riqualificazione degli spazi esistenti e sulla manutenzione del patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP). La costruzione di nuovi alloggi è prevista in misura limitata e solo nell’ambito dell’edilizia sociale, che, seppur utile, non può sostituire la funzione strategica dell’ERP nella risposta strutturale alla domanda abitativa.
Le conclusioni della Corte sono inequivocabili: la questione abitativa, pur essendo entrata nella programmazione del PNRR, difficilmente potrà conoscere una vera inversione di tendenza se non verrà affrontata con un approccio più sistemico e incisivo.
- Il mercato immobiliare e la questione dei canoni secondo Nomisma
Il 17° Rapporto sull’Abitare, pubblicato da Nomisma nel 2024 in collaborazione con CRIF e Confindustria, fornisce un ulteriore approfondimento sulle condizioni del mercato immobiliare italiano. Il report evidenzia che la domanda sostenuta nel mercato della locazione ha determinato una nuova crescita dei canoni (+3,4% nell’ultimo anno). Tuttavia, tale incremento è inevitabilmente condizionato dalla capacità di spesa delle famiglie, che negli ultimi anni è stata messa a dura prova.
L’inflazione ha eroso il reddito disponibile, rendendo sempre più difficile per le famiglie italiane – in particolare per quelle unipersonali e numerose – far fronte ai costi abitativi. Tre famiglie su cinque dichiarano che il proprio reddito è insufficiente o appena adeguato a coprire le spese primarie. Di conseguenza, l’acquisto della casa diventa un obiettivo sempre più irraggiungibile, e anche il mantenimento della locazione rappresenta un impegno economico gravoso.
Il quadro tracciato da Nomisma è coerente con quanto riportato dalle fonti precedenti: la casa si configura come un bene “impossibile” per una quota crescente della popolazione, e il disagio abitativo, in assenza di interventi pubblici efficaci, rischia di cronicizzarsi.
- Le politiche pubbliche: tra strumenti emergenziali e discontinuità strutturali
Nel tentativo di affrontare la crescente emergenza abitativa, il legislatore ha adottato nel corso degli anni una serie di strumenti, spesso di natura emergenziale, con risultati altalenanti. Tra questi, un ruolo significativo è stato svolto dal Fondo per la morosità incolpevole, istituito con l’art. 6, comma 5, del decreto-legge n. 102 del 2013. Il fondo, destinato agli inquilini impossibilitati a pagare l’affitto per cause indipendenti dalla propria volontà, ha ricevuto risorse pari a 9,5 milioni di euro nel 2020 e 50 milioni nel 2021. Tuttavia, a partire dal 2022, non ha più beneficiato di stanziamenti nel bilancio statale, fino al rifinanziamento previsto dalla legge di bilancio 2025 (L. n. 207/2024), che ha destinato 10 milioni per il 2025 e 20 milioni per il 2026.
Un ulteriore strumento introdotto è il “Fondo per il contrasto al disagio abitativo”, istituito dalla legge di bilancio 2024. Tale fondo prevede una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2027 e 2028 e contempla l’adozione di un Piano Nazionale – denominato “Piano Casa Italia” – volto alla sperimentazione di modelli innovativi di edilizia residenziale pubblica, da attuarsi mediante un decreto ministeriale adottato in accordo con la Conferenza Unificata.
Accanto a questi strumenti va ricordato il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione, istituito con l’art. 11 della legge 431/1998. Per gli anni 2020–2022, il fondo ha beneficiato di significativi incrementi: da 50 milioni iniziali si è passati a 160 milioni (2020–2021) e 180 milioni (2022), per un totale di oltre 4 miliardi di euro spesi dalla sua istituzione. Tuttavia, a partire dal 2023, anche questo fondo è stato escluso dal bilancio statale, generando un evidente vuoto nella continuità degli interventi.
L’analisi complessiva delle politiche pubbliche mostra una sostanziale mancanza di programmazione di lungo periodo. Le misure si sono rivelate spesso frammentarie, incapaci di affrontare strutturalmente un fenomeno che richiederebbe un’azione coordinata, sostenuta e basata su dati certi e aggiornati.
- Dinamiche demografiche e contraddizioni delle scelte politiche
Per comprendere appieno la portata del disagio abitativo, è necessario inquadrare il fenomeno nel contesto delle trasformazioni demografiche e territoriali del Paese. Da un lato, si assiste allo spopolamento progressivo dei piccoli centri, in particolare delle aree montane e rurali; dall’altro, si registra un forte incremento della pressione abitativa nelle grandi metropoli, dove si concentrano le opportunità occupazionali, educative e sanitarie.
Questa polarizzazione ha prodotto un’emergenza abitativa che si è aggravata nel tempo anche a causa di precise scelte politiche. Dopo il grande piano casa Fanfani degli anni ’50 e ’60, l’Italia ha abbandonato una visione strategica sull’edilizia pubblica, privilegiando la liberalizzazione del mercato e la privatizzazione del patrimonio. L’abrogazione dell’equo canone, l’indebolimento degli enti previdenziali pubblici – che storicamente svolgevano una funzione calmieratrice – e l’incentivazione della rendita immobiliare privata hanno determinato un progressivo smantellamento della funzione pubblica dell’abitare.
Oggi, oltre 650.000 famiglie risultano in graduatoria per un alloggio popolare, mentre si contano circa 2,5 milioni di sfratti negli ultimi vent’anni. Le città sono sempre più trasformate in poli attrattivi per il turismo, con un’offerta residenziale ridotta e rincarata, costringendo i residenti in condizioni economiche svantaggiate a spostarsi in periferie sempre più marginalizzate.
- Censimenti, dati recenti e richieste di intervento strutturale
Secondo l’ultimo Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni (dati 2023, pubblicati a inizio 2025), il 22% delle abitazioni in Italia risulta in cattive condizioni strutturali. Nello stesso anno, il Ministero dell’Interno ha registrato 73.809 richieste di sfratto, 39.373 provvedimenti emessi e 21.345 sfratti eseguiti, di cui circa l’80% per morosità[8].
Questi numeri pongono una questione fondamentale: se la casa rappresenta una componente essenziale del salario indiretto e una garanzia di stabilità sociale, allora è necessario ripensare in modo radicale le modalità di finanziamento e gestione dell’edilizia pubblica. Una proposta, in tal senso, potrebbe consistere nel recupero di una logica simile a quella della ex Gescal (Gestione Case per i Lavoratori), istituita nel 1963 come prosecuzione del piano INA-Casa. Finanziata da trattenute obbligatorie sui salari, la Gescal ha consentito la realizzazione di migliaia di alloggi popolari fino alla sua soppressione nel 1998. Il ripristino di un meccanismo analogo, oggi, rappresenterebbe un potente strumento di riequilibrio sociale e rilancio dell’economia reale.
Inoltre, andrebbe avviata una riflessione critica sugli effetti della legge 431/1998, che ha liberalizzato il mercato degli affitti. A oltre venticinque anni dalla sua introduzione, è opportuno interrogarsi sull’efficacia della sua promessa di autoregolamentazione e sulla necessità di un nuovo quadro normativo che vincoli i canoni alla capacità economica del locatario.
- Roma Capitale: un laboratorio critico del disagio abitativo
Tra le città italiane, Roma rappresenta senza dubbio il caso emblematico della crisi abitativa nazionale. Con oltre 2,76 milioni di abitanti, secondo il censimento del 2021, la Capitale riflette in modo amplificato le contraddizioni del modello urbano italiano. La Deliberazione Programmatica del Comune di Roma, redatta nel 2025 per garantire il diritto all’abitazione delle fasce escluse dal libero mercato, ha classificato la popolazione in due segmenti principali: da un lato i “nuclei deboli”, ovvero coloro che possiedono i requisiti per l’accesso all’Edilizia Pubblica Sovvenzionata (ERP), e dall’altro i “nuclei a rischio”, che non hanno diritto all’ERP ma sono comunque incapaci di sostenere il mercato privato. Complessivamente, questi due gruppi rappresentano circa 52.000 famiglie.
Il problema della casa a Roma è acuito dalla trasformazione del tessuto urbano a fini turistici, dalla scarsità di alloggi pubblici, dalla speculazione immobiliare e da una crescente polarizzazione tra centro e periferie. Le famiglie romane in difficoltà si trovano spesso costrette a scegliere tra soluzioni temporanee, sovraffollate o del tutto inadeguate, in un contesto dove le opportunità abitative sono sempre più ridotte.
- L’intervento delle Nazioni Unite: un segnale internazionale di allarme
La gravità della situazione ha attirato anche l’attenzione della comunità internazionale. Il 30 aprile 2025, il quotidiano La Repubblica ha pubblicato la notizia di un intervento dell’ONU, attraverso la figura del Relatore Speciale per il diritto a un alloggio adeguato, Balakrishnan Rajagopal. A questo intervento si sono aggiunti altri relatori incaricati della tutela dei diritti delle persone con disabilità, degli anziani, della povertà estrema e dell’indipendenza della giustizia. L’obiettivo è quello di raccogliere informazioni e testimonianze in vista della redazione di un rapporto da presentare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’ottobre 2025.
Particolarmente significativa è stata la lettera inviata al Governo italiano, dai toni fortemente critici, nella quale si denuncia il mancato rispetto degli obblighi internazionali in materia di diritti abitativi, in particolare riguardo agli sfratti forzosi. Va ricordato, infatti, che l’Italia ha firmato nel 2015 il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, che garantisce la possibilità di ricorso individuale al Comitato delle Nazioni Unite in caso di rischio abitativo. In diversi casi, il Comitato ha riconosciuto situazioni di fragilità e ha richiesto il blocco degli sfratti da parte delle autorità italiane, esercitando un ruolo protettivo e deterrente nei confronti di misure coercitive.
- Conclusioni: per una nuova stagione del diritto all’abitare
Il quadro che emerge da questa analisi è chiaro: il diritto all’abitare in Italia è sotto pressione, minacciato da anni di disinvestimento pubblico, da politiche frammentarie e da un mercato sempre più escludente. La crisi abitativa non è soltanto una questione di povertà, ma un indicatore della fragilità del patto sociale e della debolezza dell’intervento pubblico in settori essenziali.
È necessario avviare una nuova stagione di politiche strutturali per l’abitare, capaci di ricostruire una visione organica del rapporto tra cittadino e territorio. Tra le priorità si impongono:
- un piano nazionale pluriennale per l’ampliamento dell’ERP;
- una riforma della legge sugli affitti che leghi il canone alla capacità economica dell’inquilino;
- la riattivazione di strumenti finanziari permanenti come un fondo Gescal moderno;
- una regolamentazione degli affitti brevi nelle aree urbane in tensione abitativa;
- una strategia di rigenerazione urbana che coniughi riuso, sostenibilità e accessibilità.
In assenza di un impegno sistemico e continuativo, il disagio abitativo rischia di trasformarsi in un fattore strutturale di esclusione sociale. Garantire a tutte e tutti il diritto a una casa adeguata, accessibile e sicura è condizione necessaria per il rafforzamento della democrazia e della coesione nazionale. Come ammonito anche dalle Nazioni Unite, non si tratta più di una questione tecnica o amministrativa, ma di un diritto umano fondamentale.
[1] Istat, Rapporto annuale 2025. La situazione del Paese, consultabile al seguente link: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/05/Rapporto-Annuale-2025-integrale.pdf
[2] Istat, LE SPESE PER I CONSUMI DELLE FAMIGLIE - ANNO 2023, consultabile al seguente link: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2024/10/REPORT_Spese-per-consumi_2023_rev.pdf
[3] Caritas Italiana, Fili d'erba nelle crepe. Risposte di speranza - Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia 2024, consultabile al seguenti link: https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2024/11/rapporto_poverta_2024.pdf
[5] Caritas Italiana, La povertà in Italia secondo i dati della rete Caritas, 2025 consultabile al seguente link: https://www.caritas.it/wp-content/uploads/sites/2/2025/06/CI_report_12_06.pdf
[6] Ethos è un acronimo inglese, traducibile con “Tipologia europea sulla condizione di senza dimora e sull’esclusione abitativa”.
[7] Corte dei Conti, Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dicembre 2024.
[8] Dati dell’Ufficio Centrale di Statistica del Ministero dell’Interno.