Istat, il Rapporto annuale 2023 è il bollettino di un fallimento sociale, guidato dal crollo dei salari
L’Italia è sempre più un paese per vecchi e soprattutto per poveri. Un Paese senza speranza, dove i giovani che possono permetterselo cercano fortuna all’estero e quelli che rimangono sono destinati a vivere di precarietà e di bassi salari. Rinunciando a mettere al mondo figli, tenendo anche conto che per le donne il gap occupazionale e di reddito resta tra i più alti d’Europa. Le dimensioni del divario tra Nord e Sud sono già clamorose ma per l’Istat sono destinate ad aggravarsi, con un forte calo della popolazione residente un po’ dappertutto – meno 5 milioni da qui al 2050 - ma con percentuali più forti proprio nel Mezzogiorno e nelle aree interne. Un fenomeno che l’arrivo di nuovi migranti non riuscirà più a compensare e che produrrà uno sbilanciamento della popolazione verso le fasce più anziane.
Il Rapporto Istat conferma poi il calo delle retribuzioni in Italia, con un differenziale clamoroso rispetto alla media Ue, poiché tra il 2012 e il 2022 la crescita delle retribuzioni lorde nel nostro Paese è stata pari alla metà della media europea, con un calo del potere d’acquisto del 2% e 3700 euro annui in meno che un lavoratore italiano percepisce rispetto a un collega europeo.
I tanto decantati incrementi occupazionali vengono smascherati dall’Istat come diretta conseguenza, tra il 2004 e il 2022, dell’incremento dell’età pensionabile: dei 784mila occupati in più, 365mila appartengono alla classe d’età degli ultrasessantacinquenni, un dato che ha contribuito ad alzare ulteriormente l’età media già molto alta della forza lavoro del nostro Paese.
L’industria viene descritta come sempre più frammentata in piccole e piccolissime aziende e fortemente orientata all’esportazione ma, contemporaneamente, in deficit di produttività. La spiegazione è scontata: i padroni nostrani confidano sui bassi salari per reggere la competizione internazionale ma sono costretti a rivolgersi ai mercati esteri proprio a causa del basso potere d’acquisto delle nostre retribuzioni. Un circolo vizioso che prefigura un futuro sempre più povero per l’Italia.
Un capitolo è dedicato alla crescente preoccupazione della popolazione per i cambiamenti climatici, giustificata dal verificarsi con sempre maggiore frequenza di eventi metereologici estremi in presenza di emergenze ambientali non ancora risolte. Dal sistema idrico che continua a disperdere più del 40% dell’acqua potabile che viene immessa nelle reti di distribuzione a causa della cattiva manutenzione delle infrastrutture idriche, all’impoverimento e al consumo di suolo con conseguente aumento di rischi di frane e alluvioni, fino ai diffusi problemi di inquinamento dell’acqua, dell’aria e dei terreni. Tutti fenomeni sui quali continua a mancare una politica seria di tutela dell’ambiente e del paesaggio, che potrebbe avere importanti ripercussioni anche sul piano dell’occupazione.
Emerge un quadro a tinte fosche che neanche la propensione della dirigenza dell’Istituto ad edulcorare i dati riesce a nascondere. È l’effetto diretto del fallimento di politiche economiche e sociali che ci stanno trascinando sempre più in basso e che dobbiamo riuscire a fermare
Riportando in alto i salari, innanzitutto.
Unione Sindacale di Base