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La mattanza nei porti italiani causata dal sacrificio al profitto di tempi e sicurezza. Introdurre nel codice l'omicidio sul lavoro

Nazionale -

I dati del rapporto Inail 2019 che analizza gli infortuni mortali e gravi avvenuti nei porti italiani nel periodo 2002-2015 ci restituiscono le dimensioni straordinarie del fenomeno: il 38% degli infortuni mortali e gravi, con invalidità permanente, riguardano facchini e addetti alla movimentazione merci; il 28% conduttori di mezzi pesanti e macchine sollevamento materiali; il 18% meccanici e manutentori. Il 93% degli infortuni è avvenuto, in particolare, durante le operazioni di movimento, carico e scarico delle merci, di cui il 57% nelle banchine e nei piazzali e il 36% sulle navi. Il 44% di questi infortuni ha avuto, purtroppo, esito mortale.

La natura delle lesioni è ugualmente un tema importante: nel 40% dei casi, infatti, si parla di fratture, il 15% delle quali con esito mortale; il 33% ha subito uno schiacciamento, mortale nel 21% dei casi. Degli altri lavoratori, il 28%, ha subito ustioni, amputazioni, contusioni o infortuni simili.

Tra le dinamiche principali troviamo l'investimento da ralle o carrelli elevatori durante la movimentazione di merci e veicoli; il 33% dei lavoratori in questo modo ha subito un danno permanente, il 15% sono deceduti. Il 23% dei lavoratori ha subito, invece, un danno permanente a causa della caduta di merci e container dall’alto durante gli spostamenti con gru o carrelli elevatori, nel 10% dei casi con esito fatale. Il 9%dei lavoratori ha subito infortuni dopo essere precipitati dall’alto, cadute mortali nel 10% dei casi.

Ma quali sono le cause? Dall'analisi del complesso degli infortuni circa il 70% sono legati a carenze nell'organizzazione del lavoro; Il 23% a carenze delle attrezzature e dei mezzi, o ancora dei materiali utilizzati durante il lavoro; Il 7% a carenze nei dispositivi di protezione individuale.

La metà di questi infortuni si verifica perché il datore di lavoro non ha effettuato una valutazione dei rischi adeguata alle situazioni di pericolo riscontrabili durante il lavoro negli scali portuali, impedendo l'adozione di misure per evitare situazioni pericolose. In molti casi però, anche se la valutazione dei rischi è stata effettuata correttamente, le contromisure non vengono tenute in considerazione perché porterebbero a un rallentamento dei tempi di lavoro, in particolare della movimentazione merci, che ridurrebbe del 30-40% il traffico di container.

La riduzione dei tempi e dei costi del lavoro, in favore dei profitti, rappresenta quindi il principale motivo di infortuni e decessi nei porti italiani. Questo avviene soprattutto nella movimentazione delle merci, con spazi troppo spesso non adeguatamente delimitati, ma anche per carenze di funzionamento dei sistemi di sicurezza dei veicoli, delle attrezzature di sollevamento che provocano gli schiacciamenti e dalla mancanza di parapetti e altre misure di protezione dalle cadute.

Per evitare morti ed infortuni gravi occorre, quindi, operare corrette valutazioni dei rischi che prevedano misure di sicurezza adeguate, tempi corretti per lo svolgimento delle operazioni, e infine che i lavoratori non si trovino in aree a rischio.  Sarebbe fondamentale, in tal senso, definire standard “a monte” su tempistiche, personale e numero massimo di operazioni di carico e scarico merci, cui ogni azienda operante nei porti dovrebbe attenersi.

A tali misure organizzative va aggiunto anche un adeguato sistema di controllo e vigilanza, sia interno che esterno, per fare in modo che vengano rispettate le norme, prevedendo sanzioni con un potere di deterrenza reale alle ditte che mettono a repentaglio la sicurezza dei lavoratori. 

Il rischio per un datore di lavoro dell’accusa di lesione o omicidio doloso,  sarebbe a nostro avviso un deterrente adeguato. In tale direzione va la nostra proposta di istituire una legge sull’omicidio sul lavoro, in modo che non sia più possibile ridurre i tempi ed i costi per aumentare i guadagni né che le vite dei lavoratori siano messe a rischio in nome del profitto.