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La sentenza della Cassazione dà ragione all’USB, che da sempre chiede un salario minimo per legge. Ma al Cnel non l’hanno letta

Roma -

 

Solo pochi giorni fa è stata pubblicata una sentenza storica della Corte Suprema di Cassazione con la quale si afferma che la contrattazione collettiva non può mai considerarsi al di sopra dell’articolo 36 della Costituzione e che quindi il salario deve sempre corrispondere ai criteri di proporzionalità e sufficienza indicati dalla Costituzione. La sentenza contesta e contraddice esplicitamente la Corte d’Appello di Torino che invece aveva escluso dalla valutazione di conformità all’articolo 36 tutti quei rapporti di lavoro regolati dai contratti collettivi siglati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Nel contraddire la Corte di Torino la Cassazione ha affermato un principio molto importante: la contrattazione tra soggetti rappresentativi non è una condizione sufficiente per assicurare che i salari rispettino i principi costituzionali. FINALMENTE, diciamo noi che da anni denunciamo come esista una ampia casistica di CCNL firmati da Cgil, Cisl e Uil che prevedono minimi salariali da fame!

La storica sentenza della Cassazione dà ragione a un lavoratore in appalto che ha vissuto la classica trafila del passaggio da un contratto ad un altro, dal Multiservizi al Terziario al contratto per i Dipendenti di proprietà e fabbricati fino a scivolare in quello dei Servizi fiduciari, vedendosi retribuito con un salario addirittura inferiore alla soglia della povertà assoluta indicata dall’ISTAT. La Corte di Torino aveva respinto il suo ricorso anche contestando il ricorso al parametro della povertà assoluta calcolato dall’ISTAT, che suonava ad avallo che la paga di un lavoratore possa stare “legittimamente” anche sotto quell’indice! La Cassazione ha invece ribaltato questa lettura, aggiungendo molto di più: la povertà assoluta dell’ISTAT è una soglia minima invalicabile ma il criterio di sufficienza va parametrato più in alto, orientando il trattamento economico non solo verso il soddisfacimento di meri bisogni essenziali – per esempio cibo, vestiario, alloggio – ma anche tenendo conto della necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali come recita la recente Direttiva UE sui salari adeguati (la 2022/2041).

La sentenza (che riportiamo in allegato) è senz’altro un segnale importante che viene dal mondo giuridico a sostegno dell’idea che, a prescindere dalla contrattazione, sia necessario introdurre una legge che stabilisca una soglia, in materia di salari, al di sotto della quale non si possa scegliere.

Il paradosso è che al Cnel, incaricato dal Governo Meloni di esprimere un parere sul salario minimo, la sentenza venga completamente ignorata.  Nei documenti che stanno circolando in questi giorni, redatti dall’ufficio di presidenza del Cnel, si insiste sulla grande percentuale di copertura della contrattazione collettiva nel nostro paese, trascurando il dato oggettivo che i salari sono bassi nonostante tutto. E in più, si fa riferimento ai dati contenuti nell’ultimo rapporto INPS, in netta contraddizione con tutti gli ultimi rapporti dello stesso istituto, dell’ISTAT e di diversi altri centri di rilevazione, dove si riduce il fenomeno del lavoro sottopagato (quello che si continua a definire impropriamente povero) a soli 20mila lavoratori!

USB ha già preannunciato da tempo, con un documento scritto inviato alla presidenza del CNEL, la sua totale contrarietà a tale posizione e ha già fatto intendere che quando si arriverà alla votazione il suo voto sarà decisamente contrario. Anche la Cgil ha fatto capire che voterà contro, avendolo già fatto in sede di Commissione (dove l’USB non è presente), pur continuando a concentrarsi sul tema dei contratti pirata e trascurando la rilevanza della recente sentenza della Cassazione di cui sopra. Una sentenza che chiama in causa anni di contrattazione al ribasso fatta da sindacati complici con i padroni e completamente indifferenti alle ragioni di chi lavora.

Unione Sindacale di Base