La UE è nel caos e preoccupata per la pace: da più fondi per le armi mentre la crisi sociale si fa sempre più seria. L’USB in piazza a Roma il 29 marzo per contratti veri e contro l’aumento delle spese militari
I leader europei sono spiazzati. Hanno investito più di cento miliardi nella guerra in Ucraina, si sono impegnati in una propaganda martellante contro il pericolo russo, hanno sostenuto senza se e senza ma il regime di Zelensky ed ora rischiano di essere tagliati fuori dai negoziati di pace e, soprattutto, di non partecipare al banchetto della ricostruzione. E allora si riuniscono in tutta fretta a Parigi, tagliando fuori una bella fetta di membri della UE ma assieme alla Gran Bretagna che della UE non fa più parte da tempo, per decidere un aumento delle spese militari (il 2% del PIL già non basta più), ipotizzare l’invio di truppe in Ucraina, sognare la formazione di un esercito europeo e reclamare un posto nei negoziati.
Il governo Meloni è tra i più intransigenti nel sostenere il regime di Zelensky, rivendica la necessità di sganciare la spesa militare dai vincoli di bilancio e si dichiara contrario all’invio delle truppe, perché non vuole entrare in contrasto con la Casa Bianca. Svincolare le risorse destinate alla difesa dalle regole della UE in materia di deficit pubblico significherà lasciare mano libera ad un aumento senza precedenti della spesa per la guerra e non, come ipocritamente sostengono al governo, un modo per avere a disposizione più risorse per la spesa sociale. Sarà vero, infatti, esattamente il contrario e cioè diminuiranno ancora di più le disponibilità per i servizi pubblici, i contratti e le altre voci di spesa del bilancio dello Stato.
Mario Draghi ha già dettato da tempo la linea: creare un bilancio pubblico europeo capace di garantire una gestione univoca, come un unico Stato ha chiarito oggi, per gestire una politica economica della UE. Al primo punto di questa nuova gestione ci sarebbe proprio il bilancio della difesa e l’investimento nell’industria militare, giustificato anche dalla necessità di competere sulla scena internazionale sul terreno delle nuove tecnologie, che solitamente trovano una prima applicazione proprio nel settore bellico.
Da destra a sinistra si dividono sui rapporti con Trump ma sono in piena sintonia sulla necessità di aumentare la spesa militare e dare alla UE il profilo di nuova potenza mondiale. Continuano ad agitare lo spauracchio del pericolo russo come se la Russia fosse impegnata in una politica di conquista dell’Europa, ipotesi manifestamente senza senso, pur di giustificare la spinta al riarmo. Diversi leader europei, senz’altro Macron e Scholz, puntano al rafforzamento della centralizzazione delle decisioni nella UE, mentre altri come Meloni sembrano più freddi su questo punto.
Ma proprio Macron e Scholz oggi sono i più traballanti tra i premier in carica. Scholz sta per lasciare il posto di cancelliere, mentre Macron si ritrova un governo continuamente in bilico. La UE è quindi dentro una situazione caotica, con le classi dirigenti in stato confusionale e preoccupate della pace.
Lo scenario però è reso ancora più allarmante da una crisi sociale sempre più evidente. È proprio la guerra in Ucraina a produrre l’aumento dei prezzi energetici, che è il fattore che più sta incidendo sui costi delle famiglie ed anche su quelli del sistema produttivo, già alle prese con evidenti ritardi in materia di adeguamento tecnologico. I prezzi dell’energia ed ora anche la minaccia dei dazi di Trump prospettano una crisi verticale dell’industria, con pesanti ricadute in termini di posti di lavoro.
I salari bassi, il sistema sanitario a pezzi, l’aumento della povertà, sono i fattori più evidenti di una crisi senza precedenti. La soluzione che ci propone la UE è l’aumento delle spese militari.
Battersi per il nostro salario e per difendere le nostre condizioni di vita è oggi intimamente legato alla lotta contro la guerra. Mai come oggi c’è un nesso inscindibile tra le necessità immediate di lavoratori e cittadini e il desiderio di portare l’Italia fuori dai giochi di guerra. Se c’è una voce di bilancio che andrebbe svincolata dalle regole della UE non è certo quella militare ma semmai, per esempio, quella della sanità
Mentre negli ambienti dell’opposizione si discute di una manifestazione contro il governo Meloni, provando ipocritamente a tenere distinte le questioni sociali dal tema della guerra, l’USB sarà in piazza il 29 marzo a Roma contro i nuovi contratti bidone e per aumenti salariali veri. E per dire No agli aumenti vergognosi e folli della spesa militare.