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Lavoro di cura, Tito Boeri pone una questione importante ma sbagliata nell'impostazione

Roma -

La questione del costo delle badanti (per lo più si tratta di personale straniero di sesso femminile) per le famiglie è questione seria e mai correttamente affrontata come tale. Chiunque si trovi, o si sia trovato, a dover garantire assistenza continuativa e professionale ad un parente non autosufficiente o semplicemente molto anziano che, grazie ai progressi della scienza, vive a lungo anche se con deficit, sa che la questione dei costi di detta assistenza è davvero molto seria.

Non ci troviamo in questi casi di fronte al “datore di lavoro” proprietario dei mezzi di produzione, che deve remunerare adeguatamente chi lavora per lui e genera profitto per la sua azienda, che è la situazione classica per cui giustamente si richiede un salario minimo adeguato, ma a una fattispecie ben diversa. Il datore di lavoro, nel caso della badante, è  di norma un pensionato e/o la sua famiglia, che deve destinare una parte consistente del proprio reddito familiare al pagamento di un salario ad un soggetto terzo che non produce alcun tipo di introito, a differenza delle aziende che remunerano il lavoro con una parte degli utili introitati. Cioè,  in parole povere, non vi è alcuna relazione di do ut des economico tra il salario da garantire alla badante e il reddito della famiglia che la assume.

È assolutamente ovvio ribadire che chi esercita la professione di curare le persone in deficit fisico o cognitivo o semplicemente troppo anziane per badare a sé stesse autonomamente, deve essere retribuito adeguatamente per il lavoro che svolge e che è sicuramente da annoverare tra i più gravosi e totalizzanti e quindi da meglio remunerare.

Detto ciò, si torna però al punto di partenza: possono le famiglie caricarsi di questo enorme onere finanziario senza alcun sostegno da parte dello Stato, eccezion fatta per qualche sgravio fiscale e per qualche esenzione sanitaria, che sicuramente non risolvono il problema?

L'aumento esponenziale dell’aspettativa di vita ci dice che la richiesta di persone che si prendano cura di altri è destinata inesorabilmente a salire e che la percentuale di reddito familiare da destinare all’uopo è anch’essa destinata inesorabilmente a salire. Vale ricordare che nella società capitalistica odierna il lavoro di cura, dei bambini o dei familiari anziani, è tutt’oggi accollato alle donne e che tale onere - non potendo qui trattare in maniera articolata e compiuta della questione di genere, che pure c’entra e molto - spesso produce fenomeni di auto licenziamento o di utilizzo delle normative previste dalla leggi 104 o 151 che consentono di assentarsi dal lavoro proprio al fine favorire la cura dei familiari. Questo, spesso nelle piccole e medie imprese e uffici, cioè l’intelaiatura principale del tessuto produttivo italiano, colpisce il diritto delle donne a un lavoro adeguato, perché nascosti dietro l’alibi dell’organizzazione del lavoro molti imprenditori penalizzano in partenza le lavoratrici e, in caso di licenziamenti, scelgono in prima istanza di bersagliare il personale femminile.

Il problema quindi si risolve non tanto abbassando la soglia su cui fissare il salario minimo orario per cercare di far spendere un po’ meno chi ha necessità di un/una badante – come sostiene Tito Boeri sull’Huffington Post - quanto individuando nel campo del welfare soluzioni capaci di addebitare allo Stato o agli enti locali una parte consistente degli oneri economici per questa fattispecie di lavoro che, lo ripetiamo, non potrà che aumentare ulteriormente con il crescere della speranza di vita.

Finora l’intera problematica è stata delegata interamente alle famiglie: quelle in grado di permetterselo ricorrono alle badanti o ai ricoveri in RSA, spesso private o in regime di convenzione a costi esorbitanti, sul cui grado di sicurezza e di professionalità nell’assistenza sarebbe bene aprire uno specifico focus; per tutte le altre c’è solo da arrangiarsi. La sorte peggiore tocca agli anziani soli, nella completa assenza di interventi significativi, diretti o indiretti, dello Stato.

Unione Sindacale di Base