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Argomento:

L’industria oggi in sciopero: per cambiare il modello contrattuale e il paese. Contro il riarmo e per fermare il genocidio in Palestina

Roma -

Oggi nelle fabbriche italiane è successo qualcosa di importante.

Lo sciopero nazionale dell’industria, convocato da USB, è stato un fatto straordinario, un segnale forte e chiaro: il malcontento non solo c’è, ma si organizza, si muove, lotta.

Lo diciamo senza giri di parole: abbiamo costruito uno sciopero vero, riuscito, partecipato, visibile.

Una giornata di mobilitazione che dimostra come USB sia ormai radicata in tutte le principali aziende dell’industria, in particolare del settore metalmeccanico.

Una giornata che parla anche ai lavoratori non ancora organizzati: una voce netta che dice che un’alternativa è possibile, concreta, e ha già preso forma.

Il cuore dello sciopero è il rinnovo del CCNL metalmeccanico, ma abbiamo messo al centro i salari, l'orario di lavoro, la salute e la sicurezza, le crisi industriali, la guerra, il modello sociale che ci viene imposto.

Federmeccanica ha alzato il tiro: nessun aumento certo, nessun recupero salariale sicuro, solo la prospettiva dell’aumento “ex post” basato sull’inflazione a consuntivo.

Tradotto: zero euro in busta paga.

È questa la “nuova normalità” che il padronato vorrebbe imporre.

È questo il frutto di un modello contrattuale fallimentare, costruito negli anni da Federmeccanica con la complicità delle burocrazie sindacali.

Nel frattempo è stato firmato anche il rinnovo del CCNL chimico-farmaceutico, che certifica – ancora una volta – quanto questo modello sia incapace di garantire il potere d’acquisto.

Un contratto firmato senza alcuna verifica sul reale stato delle condizioni salariali e senza una strategia di rilancio complessiva.

Un rinnovo che consolida l’impianto costruito con l’accordo separato del 2016, tutto basato sull’IPCA al netto degli energetici, ovvero sulla negazione di aumenti veri e certi.

Oggi Fim, Fiom e Uilm minacciano nuove mobilitazioni, ma noi diciamo: mobilitazioni per cosa? Per tornare al tavolo con lo stesso modello di prima?

Per difendere un impianto contrattuale che ha portato al peggioramento sistematico delle condizioni salariali, che ha azzerato il potere reale della contrattazione nazionale?

Lo diciamo chiaramente:

se il loro obiettivo è conservare questo schema, allora si assumano la responsabilità politica di continuare a prendere in giro i lavoratori.

Perché oggi serve l’opposto: stracciare quel modello e costruirne uno completamente nuovo, che dia centralità al CCNL, che garantisca aumenti veri, che vincoli le imprese, che tuteli e non svenda.

I dati dell’ISTAT pubblicati in questi giorni parlano chiaro:

in dieci anni i salari reali in Italia sono crollati del 6,9%, peggio di noi solo la Grecia.

Mentre in Francia e Germania crescono, qui si lavora di più, si guadagna di meno, e si muore in fabbrica.

Ma secondo i padroni non c’è spazio per rivendicazioni.

Secondo Confindustria e Federmeccanica bisogna “essere responsabili”.

Responsabili di cosa? Della fame? Dell’obbedienza? Del silenzio?

E intanto le crisi aziendali si moltiplicano:

Acciaierie d’Italia, Stellantis, Jabil, Softlab, Flex, JSW Piombino, STMicroelectronics.

Crisi aperte, gestite nel nome del mercato, senza una strategia industriale pubblica, senza una visione.

La nostra risposta?

Nazionalizzare, difendere l’occupazione, investire in innovazione, digitalizzazione, sostenibilità, tutela del lavoro.

E mentre tutto questo accade, il governo e l’UE buttano miliardi nel riarmo.

Il programma RearmEU è una vergogna: finanziano la guerra, affamano il lavoro.

Parlano di difesa comune europea, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti: servono a sostenere guerre di aggressione, a moltiplicare gli affari dell’industria bellica, a rendere possibile l’orrore che vediamo ogni giorno a Gaza.

Il genocidio in Palestina, che prosegue nell’impunità e nel silenzio complice dell’Occidente, è lo specchio più brutale di un modello fondato sulla violenza e sulla disumanizzazione.

Noi non ci stiamo. Non abbiamo scioperato solo per il salario, ma anche per fermare la guerra, per dire che il lavoro non è neutrale.

Oggi abbiamo scioperato. Domani rilanciamo.

USB ha già proclamato uno sciopero generale per il 20 giugno e una manifestazione nazionale a Roma il 21, contro il carovita, contro le guerre, per il salario e per una politica industriale pubblica.

Sarà il secondo tempo di questa battaglia.

Sarà l’occasione per portare in piazza non solo le rivendicazioni salariali, ma un progetto di trasformazione radicale.

Contro il carovita.

Contro il modello sociale della guerra.

Per contratti degni di questo nome.

Per una politica industriale pubblica.

Per un paese che ricomincia dal lavoro.

La mobilitazione è cominciata.

E non si fermerà.

 

USB Lavoro Privato – Categoria Operaia dell’Industria Nazionale