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Nuovo Galliera, venerdì 12 presidio a Palazzo San Giorgio con i comitati cittadini e USB: NO a progetti faraonici, abbiamo bisogno di sanità pubblica svincolata da interessi privati

Nazionale -

Venerdì 12 febbraio la Regione Liguria e la Curia di Genova presentano a Palazzo San Giorgio il progetto del Nuovo Galliera. Lo fanno con i toni pomposi che si addicono a un progetto faraonico, una cattedrale nella favela del Sistema Sanitario Ligure, già fragile e ora messo in ginocchio dal Covid-19. Ma la pressione sul servizio sanitario prodotta dalla pandemia, considerata evento straordinario, sarà nei prossimi anni ordinaria amministrazione a causa dell’invecchiamento della popolazione e della totale assenza di programmi di protezione della salute pubblica.

L’Ente ospedaliero Galliera è una struttura pubblica, presieduta dall’arcivescovo di Genova che nomina i membri del Consiglio di Amministrazione, secondo un’iperbole giuridica che ha del dogmatico e che sottende la prerogativa di socializzare il debito e privatizzare l’utile. Le centinaia di milioni di costi previsti e che ne fanno largamente l’ospedale più caro mai progettato nel nostro Paese (circa 6 volte il costo medio di degenza rispetto ad una struttura nosocomiale) sono equamente distribuiti tra contributi pubblici, soldi chiesti in prestito dall’Ente e proventi derivati dalla vendita di quel che resta del patrimonio immobiliare, lascito della duchessa di Galliera alla città di Genova e quindi secondo un’altra parabola dogmatica, “patrimonio pubblico a disposizione privata”.

ll Nuovo Galliera è la coerente espressione di anni di riforme sanitarie tarate su esigenze finanziarie, di trasferimento di competenze da Stato a Regioni, di conversioni delle Unità Sanitarie in Aziende, che hanno di fatto trasformato le persone da cittadini a clienti e la salute da diritto ad oggetto di mercato, disattendendo la qualità potenziale del Sistema sanitario di motore di sviluppo e di promozione della qualità della vita.

Nelle celebrazioni elegiache del Nuovo Galliera fioccano termini magnifici e progressivi quali ammodernamento, efficientamento, avanguardia tecnologica, eccellenza sanitaria. La Liguria non ha bisogno di eccellenza, ma di normalità. Ha bisogno di un “normale” servizio di prevenzione e salute pubblica, che sia in grado di testare e tracciare il contagio, ha bisogno di una “normale” medicina di base che sia alleggerita dalla burocrazia e dotata delle strutture, degli strumenti e delle competenze, come quelle degli infermieri di comunità, che consentano di erogare una solida assistenza di prossimità ai pazienti, e di sostenere le loro famiglie, il più possibile lontano dagli ospedali. L’umanizzazione delle cure è l’unica eccellenza che ammettiamo in sanità.

Genova in particolare ha bisogno di equa distribuzione delle risorse ospedaliere. A parità di popolazione, ma con un profilo socio-economico radicalmente diverso, il Centro-Levante genovese e la Valbisagno dispongono di circa 1500 posti letto ospedalieri per patologie acute, tre volte quelli del Ponente cittadino e della Valpolcevera. I nostri ospedali hanno bisogno di personale ancora più che di spazi e tecnologie. La carenza di organico sanitario in tempo di pandemia ha concentrato tutte le risorse sull’assistenza ai pazienti Covid, com’era inevitabile, distogliendola dai compiti di prevenzione e cure primarie. Di conseguenza sono aumentati gli infarti, gli ictus, le malattie neoplastiche, e naturalmente sono aumentati, in Liguria come nel resto del Paese, i morti per tutte le cause.

Abbiamo bisogno di professionisti sanitari e abbiamo bisogno che a queste figure siano riconosciute condizioni di lavoro sostenibili e contratti dignitosi. Non possiamo più ignorare l’esodo dalle strutture pubbliche a quelle private di medici esperti, logorati da un carico di lavoro eccessivo ed un eccessivo rischio professionale. Non possiamo più ignorare la colonizzazione degli ospedali pubblici da parte di lavoratori interinali, meno costosi, meno garantiti, meno motivati, assolutamente non integrati nel sistema in cui operano.

Infine (ma forse al principio) abbiamo bisogno di un sistema formativo che tenga conto delle reali necessità del Sistema sanitario e di prevenzione. Il numero chiuso nelle discipline sanitarie assolve forse al contenimento dei costi delle Università (meno docenti, meno tecnici, meno laboratori), ma penalizza la qualità della formazione e la quantità dei formati. Abbiamo bisogno di ricerca indipendente, incondizionata e pubblica, che affranchi la cultura scientifica dal vincolo pernicioso delle multinazionali del farmaco.

La Regione rinunci all’iniquo e ingiustificatamente costoso progetto del Nuovo Galliera, produca un’analisi scientifica del bisogno sanitario della popolazione e pianifichi gli interventi secondo una logica di servizio pubblico e salvaguardia della salute pubblica, svincolata da interessi economici di soggetti terzi.

Venerdì 12 febbraio ore 14:30

presidio a Palazzo San Giorgio

insieme ai comitati per l'ospedale della Valpolcevera, a quelli contro il progetto del nuovo Galliera e a USB

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