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Porto di Livorno, pubblicato il documento sull'organico. USB: criticità che denunciamo da tempo, avanti con l'intervento sindacale

Il cosiddetto documento “Piano organico Porto” è stato finalmente pubblicato. A distanza di 5 anni dall’uscita della riforma DelRio della legge 84/1994, l’attuale dirigenza della AdSP ha avuto il coraggio, a differenza della precedente direzione, di mettere nero su bianco le enormi criticità del nostro scalo. Criticità che la nostra organizzazione denuncia ormai da tempo immemore.

 

Livorno -

In questo documento abbiamo fatto una sintesi dello studio pubblicato inserendo al suo interno il punto di vista del nostro sindacato. Questa sintesi è a disposizione di tutti i lavoratori portuali.

USB Livorno

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Il documento presenta alcuni aspetti da noi giudicati molto preoccupanti. Partiamo prima di tutto da un dato generale. Al netto della “crisi” dovuta alla pandemia Covid ciò che salta all’occhio è la sostanziale e progressiva perdita di posti di lavoro rispetto alla tenuta dei traffici in termini di movimentazione delle merci nel nostro scalo. Il nostro porto “tiene” sia per quanto riguarda il settore Ro.Ro sia per la movimentazione container.

Nella premessa al documento pubblicato troviamo riferimenti sia al problema dell’automazione (soprattutto per quanto riguarda la movimentazione dei contenitori) sia soprattutto all’annosa questione della concentrazione in poche mani delle concessioni e autorizzazioni nelle nostre banchine. Si parla di una “crescente concentrazione delle compagnie armatoriali internazionali in vere e proprie “alleanze”. Questo ha creato, di fatto, una sorta di vero e proprio oligopolio avente il potere di indirizzare i traffici da un porto ad un altro e di imporre loro, conseguentemente, mutamenti nelle infrastrutture e nella loro gestione”. Ma quando si arriva a parlare della gestione in ogni singolo scalo si dice che “ogni terminalista non può detenere, di norma, più di una concessione per tipologia di movimentazione.” Ci dispiace contraddire l’AdSP ma grazie alle modifiche previste dal nuovo DDL Concorrenza il divieto di cumulo delle concessioni è stato abrogato per tutti i porti di “rilevanza nazionale”.

L’organico porto è stato redatto attraverso la richiesta e il successivo invio di dati da parte di tutte le aziende e società che operano nel porto di Livorno.  Non serve essere degli analisti di professione per capire che in questi casi il campione di riferimento è assolutamente importante e soprattutto sono necessari meccanismo di controllo affinché la veridicità dei dati sia confermata. A tal proposito 4 società non hanno inviato alcuna informazione. Tre di esse sono aziende concessionarie Art 18.  Addirittura, questo dato è anche inferiore in alcuni ambiti dell’inchiesta.

Altra criticità che emerge già nelle premesse è la riluttanza delle imprese private a garantire una “programmazione” sul medio lungo periodo. Questo non va assolutamente considerato come secondario. Come sindacato che opera in tutti i settori del lavoro abbiamo riscontrato come le grandi imprese private abbiano nel tempo intrapreso un chiaro approccio volto ad evitare qualsiasi confronto in termini di programmazione futura. Ciò non vuol dire che tale programmazione non esista ma semplicemente si prova ad utilizzare il pretesto “dell’incertezza dei mercati” per giustificare le proprie scelte aziendali il più delle volte indirizzate verso un maggiore sfruttamento della forza lavoro ma soprattutto per mantenere alti livelli di precarietà evitando anche di rinnovare accordi integrativi.

Ma il mercato all’interno dei porti è soggetto ad una legge dello Stato. Infatti si afferma che “l’Autorità di sistema portuale provvede a rilasciare le autorizzazioni ex articoli 16, 17, 18, valutando la sussistenza di una serie di requisiti, nonché il rispetto di quanto previsto nei “piani di impresa e di traffico” che il soggetto in sede di presentazione di prima istanza è tenuto a produrre”.

Sarebbe molto interessante vedere se, nel corso degli anni, questi piani di impresa presentati dalle aziende abbiano subito delle modiche per quanto riguarda l’effettiva e specifica programmazione nel medio e lungo periodo (che indirettamente va ad incidere sulla forza lavoro) oppure se tale documentazione è diventata sempre più generica e fumosa. In ogni caso questo strumento, in mano alla AdSP è fondamentale per ottenere un controllo diretto e indiretto.  Importante sarà mettere in campo delle pressioni di tipo sindacale affinché le varie concessioni e autorizzazioni siano ammesse solo in presenza di piani di impresa e di traffico quanto più precisi e definiti evitando omissioni pericolose con il pretesto dell’incertezza del mercato.

Tornando al documento, un altro dato che salta all’occhio è l’alta età media dei lavoratori che svolgono lavori usuranti e che inverosimilmente non sono riconosciuti come tali.

Sarebbe stato utile e interessante sapere dove e come sono collocati i lavoratori in base alla loro età. Cioè se sono impiegati negli articoli 16, 17 o 18, e la partecipazione di questi alle mansioni più faticose (rizzaggio e derizzaggio) che ad oggi sono oltretutto le mansioni prevalenti per gli articoli 16 e 17.

Conseguentemente, anche i dati relativi alle esenzioni da queste mansioni avrebbero portato ad avere un quadro più completo riguarda alle inabilità del porto, e non sono di quelle dell’articolo 17 come pubblicato invece dall’Autorita portuale.

Quest’ultimo dato, se messo in relazione con l’alta produttività del porto, metterebbe in evidenza le alte rese che ricadono quotidianamente sulle spalle dei lavoratori, già “obbligati” a svolgere molte ore in straordinario, come messo in evidenza anche dal documento presentato.

Nonostante “l’eccessivo ricorso agli straordinari” denunciato nel documento, e già da noi denunciato dai tempi della ordinanza n° 9 risalente al 2014, si evidenzia anche la carente integrazione dei contratti integrativi, principalmente negli articoli 16 che operano in appalto nei terminal, a dimostrazione che l’appalto e il ribasso delle tariffe non portano alcun benessere ai lavoratori, attualizzando invece il concetto di “cottimo” degli anni ‘80 con il “raggiungimento target” dei giorni nostri. In poche parole, più produci più guadagni.

Anche questo tema non è affatto secondario. È ormai evidente, appunto, il cambiamento di strategia portato avanti dalle varie dirigenze (in special modo art. 16)  che hanno iniziato ad ottenere integrativi basati non più sulla presenza o sul raggiungimento di alcuni risultati ma sul lavoro straordinario e sulle “rese”. Tema questo che va ad incidere direttamente con prepotenza sugli infortuni ed incidenti sul lavoro così come sulle prescrizioni e le inabilità.

La concorrenza tra appalti sempre più a basso costo e la continua ricerca di un’alta produttività producono una bassa professionalizzazione dei lavoratori, al fine di tenere bassi i costi del lavoro e si capisce anche il motivo per cui il dato dei lavoratori presenti nell’articolo 17 a Livorno è di gran lunga inferiore rispetto alla media nazionale; in quanto Alp applica una tariffa fissa a tutte le imprese che mal si concilia col dumping tariffario prodotto dalla concorrenza dell’appalto. A questo tema il documento presentato dedica diversi passaggi ma non centra mai il punto fondamentale.

L’unico sistema per professionalizzare i lavoratori sarebbe quello di attivare percorsi di passaggio da articoli 16 o 17 verso gli articoli 18, cosi da formare e poi avviare il lavoratore in produzione al fine di aumentare la sua professionalità e diminuire i casi di inabilità.

L’emblema di questa organizzazione del lavoro sono i lavoratori interinali, utilizzati da anni (addirittura alcuni da 17) in tutto il porto ma che non sono mai stati presi in considerazione per eventuali assunzioni o professionalizzazioni.

La stessa modalità di formazione nel porto cambia da ditta a ditta a dimostrazione del fatto che non sono mai stati attivati percorsi formativi omogenei per tutte le ditte.

Crediamo sia invece necessario che l’Autorità si faccia garante di questi percorsi formativi, standardizzati per tutte le tipologie di lavoro, facendosi anche carico della formazione per il ricollocamento dei lavoratori inabili, e per la modernizzazione di nuove figure professionali (automazione).

Questa inquietante fotografia del porto di Livorno ha messo in evidenza gravi criticità strutturali. Criticità tali che, se si vuole un vero cambio di marcia, bisogna inderogabilmente pensare ad un altro tipo organizzazione del lavoro. Chiudendo una volta per tutte la “giungla” degli articoli 16 puntando invece su un vero polo unico di manodopera nell’articolo 17 in modo da “efficientare” le operazioni portuali esistenti ad oggi, per formare i lavoratori in previsione di mansioni future e per evitare il dumping sociale tra lavoratori di imprese diverse. D’altra parte, gli art. 16 sono nati per essere dei veri e propri soggetti operanti autonomamente su banchina pubblica. A Livorno si sono trasformati in meri soggetti portatori di manodopera andando a sostituire, di fatto, l’art 17.

Come si evidenzia nello stesso documento nel nostro scalo l’ALP copre solo il 3% della forza lavoro a differenza della media nazionale che si attesta intorno al 17%.  Un polo unico di manodopera è necessario a condizione che questo obiettivo sia raggiunto con un intervento deciso soprattutto dei lavoratori ma anche dell’Autorità Portuale che garantisca la sostenibilità nel lungo periodo di tale progetto imponendo un corretto equilibrio della forza lavoro in tutto l’ambito portuale. Ogni altra proposta di mero “allargamento” dell’art 17 non avrà che altra conseguenza quella di creare ulteriori disequilibri e trasformare l’ALP in un ammortizzatore sociale in cui “scaricare” gli eventuali esuberi di altre aziende o, peggio ancora, uno strumento per portare avanti mere ristrutturazioni aziendali.

Ultima considerazione. Come è ovvio che sia, nel documento non si entra nel dettaglio di tutti quei servizi considerati accessori all’interno del porto. Da anni denunciamo come in diverse aziende, anche autorizzate art. 16 e art. 16 Bis, utilizzino contratti nazionali di riferimento che nulla hanno a che vedere né con i porti né tantomeno con la logistica. Il contratto “pirata” multiservizi e quello della vigilanza privata, entrambi firmati dai sindacati concertativi e che prevedono salari da fame, hanno avuto una vera esplosione in porto. Alcune mansioni precedentemente svolte da lavoratori portuali sono finite in mano a ditte e cooperative in appalto che sfruttano questa “zona d’ombra” per applicare condizioni peggiorative. Alcune attività autorizzate art. 16 Bis (come, ad esempio, il “rallaggio” da sottobordo a piazzale) a Livorno sono considerati servizi portuali e non operazioni portuali come nella stragrande maggioranza degli scali italiani. Così come la motivazione interna. Come sindacato ci stiamo impegnando affinché tali attività tornino all’interno del ciclo portuale.

Anche la questione dell’automazione è stata solo accennata in premessa ma, in vista dei bandi per l’aggiudicazione del nuovo Terminal contenitori Darsena Europa, andrebbe assolutamente approfondito.  Questi temi non possono essere considerati secondari e la stessa Autorità Portuale dovrà essere sollecitata ad intervenire.

 

Unione Sindacale di Base – settore Mare & Porti

USB Livorno