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Pubblico Impiego, Conte e Dadone violano la legge sulla rappresentanza sindacale

Roma -

Il secondo governo Conte si sta facendo notare per lo zelo con cui ha ripristinato la concertazione con i sindacati complici. Da quando si è insediato, nessuna organizzazione o confederazione sindacale che non si chiamasse appunto Cgil, Cisl o Uil ha più avuto accesso alla sala verde. 

Con il primo governo Conte, quello con la Lega e senza il PD per capirsi,  tutte le confederazioni sicuramente rappresentative, e tra queste l'Unione Sindacale di Base, erano regolarmente convocate a Palazzo Chigi anche se a tavoli separati, cosa che non disturbava in verità più di tanto. 

La cosa è grave in sé, nel senso che il nuovo governo ha chiuso le relazioni politiche con una serie di confederazioni che comunque raccolgono consensi e voti di migliaia di lavoratori e sono un pezzo della democrazia del lavoro nel nostro paese. Inutile convocarci ai tavoli tecnici presso questo o quel ministero se poi il confronto politico sulla legge di stabilità o su altri provvedimenti importanti per la vita dei lavoratori viene riservato solo a chi è abituato ad accoccolarsi tra le braccia, e nelle scelte, del governo purché ne abbia in cambio il ritorno sulla scena sindacale, seppure “senza portafoglio”.

Ma alle volte si passa il segno della decenza, come avvenuto lunedì pomeriggio nell’incontro sui contratti tra Conte, i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e le segreterie di categoria del Pubblico Impiego, avvenuto appunto a Palazzo Chigi lasciando fuori le altre confederazioni maggiormente rappresentative della categoria. 

Se è indecente interrompere qualsiasi relazione con le confederazioni "non Cgil, Cisl, Uil", privilegiare, anzi rendere unico il rapporto con alcune organizzazioni escludendone altre nel Pubblico Impiego è veramente gravissimo. 

Esiste una legge della Repubblica Italiana che, nella Pubblica Amministrazione, stabilisce al millimetro i criteri per definire quali organizzazioni hanno diritto ad essere considerate maggiormente rappresentative nell’intero comparto pubblico. Sulla scorta della valutazione del numero degli iscritti e dei voti ricevuti nelle RSU si identificano, senza alcuna possibilità di errore, quali siano le organizzazioni che hanno questo requisito. Tra queste c’è, fin dall’entrata in vigore della legge, la Unione Sindacale di Base in virtù del larghissimo gradimento ottenuto tra i lavoratori pubblici. 

Come sempre accade in questi casi la giustificazione che viene utilizzata è quella di aver accolto richieste di incontro pervenute solo da quelle organizzazioni sindacali e non da altre, giustificazione meschina e falsa che si infrange rapidamente sulle innumerevoli richieste di incontro da noi inviate a Conte non solo sul Pubblico Impiego ma su tutte le questioni in campo e che siamo in grado di produrre a chicchessia. 

La verità è semplice e grave al tempo stesso: Conte e il suo governo hanno bisogno di pace sociale con cui ricompensare l’Unione Europea per la manica larga dimostrata in occasione della valutazione della legge di stabilità e "passare ‘a nuttata" dell’indecente Meccanismo Economico di Stabilità che produrrà una pesante sicura aggressione al nostro Paese; i sindacati complici hanno bisogno di tornare a dimostrare di avere un qualche ruolo strappando qua e là qualche elemosina che faccia dimenticare ai lavoratori le loro responsabilità sulla Fornero, sul blocco decennale dei contratti, sul jobs act, e su tutte le altre schifezze che hanno consentito passassero nel nostro Paese senza muovere un muscolo. Non siamo disposti ad accettare che la strategia dell'esclusione diventi la prassi comune. Se sarà necessario, se questo vulnus alla democrazia sindacale non troverà al più presto riparo, saremo nuovamente costretti a tornare in campo con quegli strumenti che hanno fatto cambiare atteggiamento a presidenti del Consiglio e ministri di ben altro peso rispetto a Conte e Dadone.

 

Unione Sindacale di Base