AREA STAMPA

Dipartimento Comunicazione

Tel./Phone:
(+39) 3456712454

Fax:
(+39) 06 54070448

e-mail:
areastampa@usb.it

Roma, via dell'Aeroporto 129

Argomento:

Rai, cadono le maschere. Solo le lavoratrici e i lavoratori possono salvare l’azienda dal regime

Roma -

Quando si pensa di aver toccato il fondo, si scopre con orrore che c’è ancora da scavare. Pensavamo di essere abituati alle bassezze alle quali la classe dirigente della RAI ci ha esposto in questi due anni, eppure riusciamo a essere sempre sorpresi dall’impunità, dalla mancanza di senso del pudore e della vergogna con la quale viene trattata l’azienda che dovrebbe servire il popolo nel garantire prodotti di informazione e culturali di qualità.

Facendo un passo indietro, non possiamo dimenticare come due anni fa l’allora Amministratore Delegato Roberto Sergio, oggi Direttore Generale della RAI, decise di far leggere in diretta televisiva una lettera scritta di suo pugno in cui, a seguito della solidarietà espressa da alcuni artisti al popolo palestinese sul palco di Sanremo, dichiarava la vicinanza propria e di tutta l’azienda al governo israeliano, già ampiamente impegnato nella sua opera di genocidio a Gaza e in Cisgiordania.
Ricordiamo bene come la protesta dentro l’azienda e fuori avesse portato a una presa di coscienza, tanto da parte delle lavoratrici e dei lavoratori quanto della società civile, di quanto ci fosse una stortura profonda nel patto di servizio tra RAI e Stato Italiano.

In due anni di genocidio, numerose voci si sono alzate soprattutto da parte delle colleghe e colleghi giornalisti, che in più di un’occasione hanno denunciato forti pressioni da parte della politica sui Comitati di Redazione, gli organi che in teoria dovrebbero decidere le linee editoriali dei telegiornali e dei programmi di approfondimento in maniera libera e indipendente. Purtroppo, il legame troppo stretto tra partiti politici e dirigenti delle reti ha reso impossibile garantire alle cittadine e ai cittadini un’informazione seria e completa su quanto stesse accadendo a Gaza, unitamente alla prassi del governo israeliano di vietare l’accesso al personale giornalistico nelle zone colpite dalle bombe e di uccidere con cinica precisione chi già si trovava sul campo, giornaliste e giornalisti che spesso non erano solo testimoni di quanto stava accadendo, ma anche vittime del genocidio in corso.

I due grandi scioperi generali del settembre e ottobre 2025 hanno visto la partecipazione diffusa su tutto il territorio nazionale di lavoratrici e lavoratori RAI, segno tangibile che tutti i reparti dell’azienda (produzione, editoriale, tecnico) hanno voluto prendere nettamente le distanze da quanto mettiamo in onda. Abbiamo parlato di complicità, abbiamo parlato di una propaganda di regime italiana e sionista, uno sforzo di disinformazione che ha visto interviste senza contraddittorio al Ministro Tajani e alla Presidente del Consiglio Meloni, talk show politici con membri dell’ambasciata e del governo israeliano senza una reale opposizione, la censura di quanto avveniva in Palestina e nelle piazze italiane.

La RAI non è questo. La RAI non è la direttrice dell’ufficio stampa Incoronata Boccia che all’evento organizzato dall’Unione delle Comunità Ebraiche mente e attacca colleghe e colleghi parlando di “informazione piegata alla propaganda di Hamas”, non è il corrispondente da Parigi Gennaro Sangiuliano che utilizza questa azienda pagata per la maggior parte con soldi pubblici come bancomat tra un’avventura politica e l’altra.

Il problema non è solo ideologico, ma pratico. La progressiva disaffezione del pubblico nei confronti della televisione generalista mette in serio pericolo la tenuta stessa dell’azienda, e con essa anche i posti di migliaia di lavoratrici e lavoratori che ogni giorno investono la loro grande professionalità per garantire la messa in onda su tutto il territorio nazionale e internazionale. Finché però la RAI continuerà a essere vista come strumento di propaganda del Governo, un luogo in cui dare posti di lavoro a clienti ed amici del potente di turno, un buco nero di sperperi e sprechi, difficilmente si invertirà la tendenza che vede sempre meno spettatori e pagamenti del canone.

Per questo ribadiamo che la centralità del Servizio Pubblico deve tornare in mano alle lavoratrici e ai lavoratori di questa azienda, ai giornalisti che non hanno paura di esibire pubblicamente il lutto per le colleghe e i colleghi uccisi a Gaza, alle centinaia di noi che hanno scelto la parte giusta della storia. Solo noi, come lavoratrici e lavoratori organizzati possiamo applicare la giusta pressione perché le cose cambino radicalmente, sia per senso del dovere nei confronti del nostro ruolo che per salvaguardare il futuro di un’azienda che sempre di più è reso incerto da decisioni politiche che hanno tutt’altri interessi.

Ribadiamo la nostra distanza come USB – Coordinamento RAI dalle esternazioni della dott.ssa Boccia, diamo la nostra solidarietà alle giornaliste e ai giornalisti ingiustamente accusati, e chiediamo una presa di posizione netta da parte della dirigenza dalle parole infamanti che sono state pronunciate a nome dell’azienda.

Mai complici.

USB – Coordinamento RAI