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Tavolo Ex Ilva a Palazzo Chigi: trattativa con Baku sbilanciata, lavoratori a rischio. Serve il coraggio della nazionalizzazione

Roma -

Un confronto basato su dichiarazioni di intenti, non supportati da concreti passi in avanti. La certezza che rileviamo è, di fatto, il mancato avvio del piano di ripartenza, sul quale ha influito in maniera significativa l’incidente del 7 maggio all’Altoforno 1.

Il ministro Urso ha indicato come passaggi obbligati per poter portare avanti la trattativa con Baku Steel l’ottenimento di una nuova AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) e l’approdo del progetto della nave rigassificatrice a Taranto. In questo quadro fatto di eventi imprevisti e continui rallentamenti, l’unica certezza è la ricaduta occupazionale: il ministro Calderone ha infatti annunciato un imminente nuovo tavolo presso il Ministero del Lavoro per aumentare i numeri della cassa integrazione, già oggi altissimi.

Abbiamo inoltre appreso che qualsiasi prospettiva di cessione dei complessi industriali sarà vincolata al raggiungimento di livelli produttivi più alti, con tempi lunghi e molte risorse: lo stesso Urso ha dichiarato che ci vorranno almeno sei mesi per riportare la produzione a 4 milioni di tonnellate annue.

La nostra organizzazione sindacale ha aperto il proprio intervento, denunciando una gestione che, nella fase più critica, continua a muoversi senza un progetto pubblico chiaro e condiviso.

La gara per l’ingresso di un nuovo acquirente, in queste condizioni, è tutta sbilanciata a favore dell’investitore privato, che si trova in una posizione di forza mentre il tempo stringe e la crisi produttiva e occupazionale si aggrava ogni giorno. “La clessidra gioca contro di noi – abbiamo detto – e il rallentamento generale è figlio anche di una drammatica carenza di risorse pubbliche messe in campo”.

Non possiamo continuare a rincorrere l’ipotesi Baku Steel, subordinando le scelte industriali, ambientali e sociali agli interessi di chi potrebbe subentrare, mentre intanto centinaia di lavoratori degli appalti sono già stati lasciati a casa e il rischio di perdere ulteriori posti di lavoro diventa realtà ogni giorno. Questa vertenza, che riguarda migliaia di famiglie tra diretti, cassintegrati e appalti, ha bisogno di un’unica strada: quella della nazionalizzazione.

Lo Stato deve avere il coraggio di intervenire direttamente: non solo per garantire la continuità degli impianti e la manutenzione tecnica – senza cui ogni discorso è pura teoria – ma anche per riattivare un piano serio di decarbonizzazione, e soprattutto per tutelare l’occupazione e i diritti di chi lavora. In questa cornice, abbiamo ribadito la necessità di tirare dentro anche il gruppo Sanac, oggi a rischio dopo una lunga serie di gare andate a vuoto: la filiera pubblica della siderurgia va ricostruita nel suo insieme, a partire dai settori strategici.

Sul piano delle tutele sociali, abbiamo chiesto strumenti straordinari: l'eventualità di un allargamento della Cigs è grave, soprattutto se non si palesano le  condizioni per determinare le garanzie da noi richieste. Serve un ammortizzatore universale, che includa anche i lavoratori dell’appalto, oggi esclusi, e garantisca integrazioni salariali e anticipi adeguati alla gravità della situazione.

Su questo punto abbiamo registrato comunque la disponibilità della ministra Calderone ad aprire un confronto su strumenti straordinari, anche di accompagnamento all’uscita per prepensionamento per i lavoratori più anziani e sulla possibilità del riconoscimento del lavoro usurante.

A breve sarà fissato un incontro per la continuazione di questo confronto, ma sia chiaro che non è più il tempo dell’attesa né delle scorciatoie. Servono coraggio, risorse pubbliche e una regia nazionale vera. Lo abbiamo detto chiaramente oggi: nazionalizzare è l’unica scelta possibile.

USB Industria