TIM, dal lontano 2010 sempre lo stesso piano industriale
Dobbiamo dirlo chiaramente. Quanto esposto dall’azienda in occasione dell’incontro del 16 maggio alle OOSS presenti, non è stato il classico “fulmine a ciel sereno”.
Sono mesi che le voci che si rincorrono sul Piano industriale circoscrivevano molto chiaramente quanto stava per accadere, con il silenzio complice del Governo sulla societarizzazione (Rete, Enterprise, Consumer, Tim Brasile), accordando ammortizzatori sociali e tante altre azioni introdotte a garanzia dei soli interessi finanziari, disinteressandosi tuttavia quasi del tutto delle sorti di un asset strategico per il paese.
USB ha sempre denunciato, non solo negli ultimi mesi e in più di qualche occasione insieme ad altre sigle del sindacalismo di base e conflittuali, come da anni ormai non esista una reale strategia industriale e di rilancio ma solo il costante e sistematico ridimensionamento industriale.
Puntualmente, in occasione di ogni cambio di dirigenza, i Piani Industriali presentati vengono spacciati per operazioni indispensabili per far fronte alla crescente concorrenza nel settore, mettendo sempre i lavoratori di fronte al ricatto della cassa integrazione, con conseguente decurtazione del salario diretto (aumenti irrisori) e indiretto (PdR e buoni pasto)
Dopo 14 anni di ricorso sistematico alla Solidarietà difensiva ed espansiva, di strombazzate riqualificazioni professionali (reskilling) e di altre amenità, possiamo sostenere che non c’è stato nessun aumento di efficienza né maggiore competitività, o come amano chiamarla “ottimizzazione”, ma arroganti operazioni di speculazione finanziaria di breve periodo e l’espulsione di migliaia di lavoratori (salvo assunzioni dall’esterno di professionalità sicuramente già presenti in azienda ma che trovano giustificazioni per noi incomprensibili), costringendo chi rimaneva a sacrifici sempre più pesanti e al sempre più forte controllo a distanza della prestazione lavorativa con lo strumento della Geolocalizzazione che viene riproposto in maniera ancora più pressante.
Inutile negarlo, ci troviamo davanti a un disastro annunciato con la complicità della politica nazionale, incapace di sfruttare appieno perfino le risorse del PNRR per la digitalizzazione, anzi imponendo, per assurdo, norme regolatorie sempre più rigide che hanno finito per favorire la concorrenza.
Non ultimo il DDL Concorrenza che ha il chiaro obbiettivo di lasciare mano libera al mercato, a discapito dell’interesse della collettività, con una riduzione dei margini di guadagno che rendono più debole la società, con conseguente ricaduta sui lavoratori.
Così come riteniamo corresponsabile chi in questi anni di denunce, ritenendo le nostre preoccupazioni esagerate, si è reso malleabile nelle piccole e grandi decisioni fin qui prese, prediligendo la collaborazione, la sistematica rimozione del conflitto e l’accondiscendenza alla decurtazione di salario e posti di lavoro.
Pensiamo sia giunto il momento di dichiarare quali interessi si difendono e chi si vuole rappresentare.
La Storia ha ormai dimostrato che la competizione, figlia del libero mercato, non può essere sana, anzi, al contrario risulta nociva per salario e posti di lavoro ed è solo un utile strumento di veicolo di soldi pubblici verso i ricchi bonus agli Amministratori Delegati.
Inoltre, è in completa antitesi all’interesse nazionale che, specie in questo momento di “conflitto”, non viene assolutamente tutelato.
Occorre un radicale cambio di passo. Occorre un’unità d’azione per la costruzione di un polo sindacale alternativo con tutte le forze del sindacalismo di base e conflittuale, per l’unica strada possibile: la ri-nazionalizzazione di TIM a garanzia e a tutela in primis dei diritti e della dignità dei quasi 50 mila dipendenti.