Whirlpool, USB: ancora multinazionali, ancora chiusure, ancora desertificazione industriale. Adesso nazionalizzare
La vicenda Whirlpool si avvia alla sua conclusione, già scritta da tempo, nonostante ora governo e sindacati concertativi si affannino a mettere sul piatto soldi, sgravi e incentivi a rimanere di ogni genere. Alle 00.01 di domenica 1° novembre lo stabilimento di Napoli chiude i cancelli e lascia in mezzo alla strada 350 lavoratori e le loro famiglie.
Le multinazionali, come tutti i padroni, non fanno beneficenza e se ritengono che da qualche altra parte del mondo possano trovare condizioni economiche e produttive più favorevoli, spostano gli impianti e se ne vanno senza neanche ringraziare chi gli ha portato finora l'acqua con le orecchie. Come i governi italiani sempre ossequiosi e riconoscenti di fronte al fatto che venisse scelto il nostro Paese per aprire una fabbrica.
È un copione visto in molte altre occasioni e il finale era sempre conosciuto, ma è tempo di cambiare, scegliendo di darsi, o di ridarsi, strumenti nazionali di indirizzo e governo delle scelte economiche. Una nuova IRI, per capirsi, è necessaria oggi più che mai per garantire all’Italia il mantenimento di insediamenti produttivi, strategici per il Paese.
Chi, anche nel recente passato, aveva accettato l'idea che nella divisione internazionale del lavoro all'Italia toccassero il turismo e i servizi alle imprese, oggi si confronta con una pandemia che ha devastato il turismo, soprattutto quello internazionale, e reso i servizi inutili e impraticabili di fronte alla spinta forzata alla digitalizzazione e al diffondersi dello smart working.
Gli interventi tampone, come plasticamente dimostra la vicenda ArcelorMittal, la subordinazione ai capricci delle multinazionali, la disponibilità a usare i soldi pubblici per andare in soccorso non ai lavoratori ma ai padroni, si sono dimostrati non solo inefficaci ma addirittura hanno diffuso l'idea che nel nostro Paese si possa venire a fare shopping industriale serviti e riveriti e si possa scappare con i profitti e con i soldi dello Stato.
Fanno ridere le affannose rincorse dell'ultim'ora. I tentativi di ritardare una chiusura già da tempo decisa ed ora giunta al traguardo non servono a nulla, proprio come non sono serviti in passato per altre vertenze.
Sul tavolo del MISE giacciono da tempo immemore più di duecento vertenze che non hanno trovato e non troveranno soluzione, ma porteranno inevitabilmente, soprattutto in questa drammatica fase, ad avvicinarci sempre più al baratro della totale desertificazione industriale.
Nulla sarà come prima. Cominciamo da qui.
31-10-2020
Unione Sindacale di Base