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Gli operai Prosus da 40 giorni occupano la fabbrica: la storia di una lotta in difesa di lavoro e dignità. Sabato 2 manifestazione a Cremona

Cremona -

Da ormai più di un mese i lavoratori del macello Prosus di Vescovato, in provincia di Cremona, stanno portando avanti una fortissima lotta per difendere i propri posti di lavoro e la loro dignità: la proprietà, infatti, vuole vendere l’impianto e per rendere più appetibile l’affare ha deciso di licenziare decine di lavoratori. Ma i lavoratori del macello Prosus non si sono dati per sconfitti e hanno preso l’iniziativa, occupando l’impianto e salendo sulle giostre dove vengono appese le mezzene dei maiali durante la lavorazione. In questo periodo la proprietà ha fatto di tutto per dissuaderli, stringendoli in un vero e proprio assedio e arrivando perfino attentare alla loro salute in una situazione già precaria. Solo grazie alla solidarietà delle comunità migranti e degli operai delle altre fabbriche del territorio, con reti attivate da USB, si è riusciti a rompere l’assedio. Sabato 2 dicembre ci sarà una grande manifestazione a Cremona, per difendere il diritto al lavoro degli operai in occupazione.

Ma andiamo con ordine, ripercorrendo la storia di lotta degli operai Prosus dal principio.

USB entra nell’impianto grazie all’iscrizione dei lavoratori degli appalti, circa un’ottantina. Erano presenti tre cooperative ed un’agenzia interinale: Dharma, Tre T, Dharma Onlus e l’agenzia internale Sapens. Queste svolgevano un lavoro misto, tra logistica e semilavorati di carne, un appalto di per se non genuino e che ci ha portato anche a denunciare presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Cremona, esclusa Dharma Onlus che invece si occupava di pulizia e sanificazione degli ambienti.

Tra subentri e appalti, una realtà purtroppo nota nella logistica, il precedente fornitore di servizi era letteralmente fuggito con la cassa, non pagando una serie di istituti contrattuali tra cui il TFR: di quest’ultimo in particolare, in caso di inadempienze della ditta appaltatrice, risponde solidalmente il committente. Un istituto che dovrebbe essere, in teoria, blindato avrebbe dovuto pagare Prosus, se questa non avesse potuto pagare sarebbe intervenuto il fondo di garanzia di Inps. La cooperativa subentrante ha però fatto un prestito ai lavoratori, in sostituzione del TFR. La proprietà ha fatto passare due anni, fino allo scadere quindi dei termini di prescrizione. Risultato? I lavoratori sono rimasti senza il TFR. Questa è, purtroppo, la realtà di Prosus.

USB da anni porta avanti un importante vertenza nell’azienda cremonese, che ricordiamolo è leader nella produzione del prosciutto crudo: vogliamo che i lavoratori, inquadrati con il pessimo contratto multiservizi che prevede letteralmente paghe da fame, vengano inquadrati con il contratto dell’industria alimentare, che rispetta la loro vera mansione. Dopo questa grande vertenza USB ha ottenuto un primo risultato: un’indennità mensile come anticipo ai lavoratori delle cooperative, fino a che non sarà applicato il contratto dell’alimentare. I lavoratori, in segno di protesta, entrarono nello stabilimento con delle scope: se mi paghi per le pulizie io faccio quello, mentre la carne te la tagli da solo. Questa lotta ha portato ad internalizzare interi gruppi di lavoratori, tra cui tutti gli interinali che dovettero salire sul tetto per costringere la proprietà a assumerli direttamente: l’agenzia interinale, infatti, se ne era andata e loro rischiavano di rimanere per strada.

Prosus ha un impianto che può lavorare fino a tredicimila capi al giorno, esportando prosciutto e semilavorati soprattutto in Cina e sul mercato orientale. Ma con lo scoppio della peste suina l’investimento importante di un’azienda troppo ambiziosa viene disatteso e Prosus, a causa della chiusura dei mercati internazionali, non riesce a rientrare delle spese folli fatte per conquistare il sol levante. Entra a questo punto in campo la manager Isabella Pedroni, una di quelle figure che viene tirate in causa quando c’è da far quadrare i conti a scapito di chi lavora: donna con una storia in Mediaset si è specializzata nell’arte del taglio al personale, un compito che ha svolto anche a livello internazionale per Telecinco in Spagna.

La scelta che viene fatta è di mettersi sul mercato tagliando i posti di lavoro: un impianto che fa lo stesso lavoro ma con meno personale, tutto a scapito della vita e della salute degli operai. Scatta la cassa integrazione per i dipendenti diretti che copre solo due terzi del loro normale stipendio, senza pagare alcun anticipo. Se non viene pagata la quota dovuta dall’Inps, lo stipendio scende fino ad un quarto. In questo modo, tra stipendi da fame e molti se ne sono andati.

E gli ottanta lavoratori delle cooperative? Recesso anticipato del contratto di appalto: Tre T apre una procedura di licenziamento collettivo, Dharma con uno spostamento in appalti lontani e difficili da raggiungere. Dal 17 di ottobre, quindi, i lavoratori in appalto sono saliti sulle giostre.

Da quel momento comincia l’assedio contro i lavoratori, gli viene staccata l’acqua calda, disattivati i distributori per affamarli, spalancate le celle frigorifere vuote al massimo della potenza per farli congelar, fino ad arrivare a staccare la luce. Veri e propri attentati alla salute di chi, invece, chiede soltanto di poter lavorare a condizioni decenti.

Ma non finisce qui: la proprietà tenta di scatenare la guerra dei dipendenti diretti contro quelli in appalto saliti sulle giostre sostenendo che, se non fossero scesi, l’azienda sarebbe fallita. Un tentativo di dividi et impera andato miseramente fallito, da parte della proprietà e dei manager: l’azienda non è fallita e anzi, è stata aperta una procedura di composizione negoziata, che potremmo tradurre in cassa integrazione per i padroni. Il tribunale competente nomina un consulente che fa da mediatore e cerca degli acquirenti per pagare i creditori dell’azienda.

La procedura, in questo caso, è andata a buon fine, visto che sono state fatte delle proroghe. Il consulente ha dichiarato una manifestazione di interesse da parte di un fondo di investimento olandese. Prosus, infatti, è tecnologicamente avanzata e rappresenta un affare d’oro per i grandi fondi di investimento.

I lavoratori rimarranno dentro fino a che non otterranno il lavoro: hanno contribuito a rendere l’azienda una realtà forte dell’industria alimentare italiana e questo deve essere loro riconosciuto, non se ne possono semplicemente liberare come un Kleenex usato! Se arriverà la vendita, l’acquirente si troverà ancora i lavoratori sulle giostre: la loro resistenza è un esempio per tutti gli operai che lavorano nel nostro Paese, la lotta di Prosus è la lotta di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici.

L’Unione Sindacale di Base è al loro fianco: per il lavoro e la dignità non faremo un passo indietro.

Unione Sindacale di Base

 

Più info: a questi link (qui e qui) servizi della televisione del Punjab, da dove vengono molti dei lavoratori.